Parole. Parole. Parole. Come dice Amleto. La lingua è tutto ciò che abbiamo per dar voce alla nostra lotta e per reagire. Le parole sono il nostro tesoro più prezioso dovremmo utilizzarle per educare noi stessi ed educare gli altri. E queste parole dovrebbero essere trasmesse in quante più lingue possibili. E qualunque cosa accada, credo in una lingua che tocca i cuori e le menti di quante più persone possibili… Il silenzio è tradimento. Il silenzio di intellettuali e scrittori è complicità (Refaat Alareer)
Dal 7 ottobre 2023, con l’inizio del massacro di Gaza, ad opera dell’esercito israeliano, 105 accademici palestinesi sono stati uccisi, secondo le ultime statistiche (qui) del Ministero dell’Istruzione palestinese. La Islamic University, è stata completamente demolita dalla campagna di bombardamenti e tutte le 19 università di Gaza hanno subito gravi danni o giacciono in totale rovina, con oltre l’80% degli edifici universitari distrutti. La gran parte dei circa 90.000 studenti della Striscia che erano iscritti a istituti di istruzione superiore prima della guerra non hanno potuto continuare i loro studi.
Il sistema scolastico di Gaza poteva essere una delle poche, importanti alternative alla radicalizzazione disperata per i giovani gazawi, un preziosissimo presidio di dialogo ed umanità. Per il governo israeliano l’Università, la letteratura, la poesia, l’istruzione, costituiscono una minaccia per uno degli eserciti meglio armati al mondo.
Una storia che ne rappresenta molte può essere raccontata.
E’ quella di uno scrittore e insegnante di letteratura e lingua inglese all’Islamic University, Refaat Alareer, che viveva così il suo impegno educativo e culturale: «In generale, amo la poesia inglese (il mio dottorato è sulla poesia di John Donne). Ho letto Shakespeare. Ma amo leggere anche il russo, l’italiano, la letteratura sudamericana e africana. Adoro leggere la letteratura dei popoli nativi americani, Canada, Australia, ecc. Sono stato influenzato da Laurence Stern, Aphra Behn, George Eliot, TS Eliot. Ho una certa curiosità per la letteratura israeliana ed ebraica. Attualmente il mio interesse è principalmente per i giovani artisti emergenti e come reagiscono a tendenze tradizionali che cercano di metterli a tacere o renderli irrilevanti o immaturi».
Un attacco aereo israeliano gli ha tolto la vita il 7 dicembre 2023. Con lui sono rimasti uccisi anche il fratello Salah e il nipote Mohammad, così come la sorella Asmaa e i suoi tre figli, Alaa, Yahya e Muhammad, e altri membri della famiglia sono rimasti feriti. Tre dei figli di Refaat e le sue tre figlie sono rimasti con la madre in un altro rifugio e sono sopravvissuti.
Il cugino di Refaat, Muhammad Alareer, ha dichiarato che l’esercito israeliano ha preso di mira Refaat proprio a causa della sua popolarità e autorevolezza. «Prima dell’attacco- ha dichiarato Muhammad all’agenzia di stampa +972 – Refaat ha ricevuto molte minacce di morte online e via cellulare da account israeliani, che gli chiedevano di smettere di scrivere e pubblicare».
Secondo Muhammad, Refaat ha ricevuto una telefonata da qualcuno che si è identificato come un ufficiale israeliano, il quale gli ha detto che i militari sapevano esattamente dove si trovava e che sarebbe stato assassinato o detenuto se avesse continuato a scrivere. Questa minaccia ha spinto Refaat a lasciare la moglie e i figli nella scuola UNRWA di Al-Tuffah, a nord-est di Gaza City. Si è recato a casa della sorella, pensando che sarebbe stata più sicura della scuola, ma l’implacabile odio israeliano non gli ha lasciato scampo.
Reefaat è stato il cofondatore del progetto We are not numbers (qui) nel 2014 con la giornalista americana Pam Bailey e con il dott. Ramy Abdu, attivista per i diritti umani, un progetto no-profit guidato dai giovani di Gaza, che si batte per la difesa dei diritti umani e per dare voce a chi non viene ascoltato, per raccontare le storie di vita che si celano dietro i numeri dei notiziari. Un luogo di espressione individuale e un progetto letterario in cui i partecipanti si supportano a vicenda nel processo creativo, costruendo legami e solidarietà.
Refaat ha promosso diverse raccolte di poesie e saggi in collaborazione con giovani scrittori palestinesi, tra cui Gaza Write Back e Gaza Unsilenced.
Questa la sua ultima poesia:
Se io dovessi morire
tu devi vivere
per raccontare la mia storia
per vendere tutte le mie cose
comprare un po’ di stoffa
e qualche filo,
per farne un aquilone
(magari bianco con una lunga coda)
in modo che un bambino,
da qualche parte a Gaza
fissando negli occhi il cielo
nell’attesa che suo padre
morto all’improvviso, senza dire addio
a nessuno
né al suo corpo
né a se stesso
veda l’aquilone, il mio
aquilone che hai fatto tu,
volare là in alto
e pensi per un attimo
che ci sia un angelo lì
a riportare amore.
Se dovessi morire
che porti allora una speranza
che la mia fine sia un racconto! [1]
[1] Le citazioni di Refaat Alareer contenute in questo articolo sono reperibili in una splendida intervista che merita di essere letta per intero: https://www.dirittiglobali.it/wp-content/uploads/2023/12/GR-6-WRITERS-ENG-LOW.pdf
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