Quel difficile rapporto tra Netanyahu e Israele al voto

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16 Marzo 2015

È un Benjamin Netanyahu sempre più nervoso quello che si avvicina a grandi passi verso il responso elettorale anticipato che avrà luogo in Israele il 17 marzo. L’ultimo mese di Bibi è stato davvero difficile, a cominciare dal discorso di Washington in cui il premier israeliano aveva criticato indirettamente il presidente US Obama in merito alla gestione della trattativa sul nucleare con l’Iran, e proseguendo verso la marcia organizzata durante la scorsa settimana a Tel Aviv -città natale di Netanyahu- dall’opposizione al suo governo, che ha trascinato in strada diverse migliaia di manifestanti sotto lo slogan “Israel wants change”.

In realtà il cambiamento è quello che negli ultimi tempi sta auspicando proprio Netanyahu, con la differenza che la sua, più che una richiesta di cambiamento, appaia una richiesta di cambiamento del cambiamento. Spieghiamoci meglio: Netanyahu durante il discorso al Congresso americano ha palesemente parlato di “brutto accordo” in riferimento alla diplomazia avviata dalla segreteria di stato americana nei confronti di Teheran, a suo avviso troppo morbida: «il regime di Teheran non è un problema solo di Israele più di quanto non lo fosse il nazismo» ha detto Netanyahu, ricordando come l’ayatollah Khamenei predichi la distruzione di Israele, spingendosi dunque sulla necessità di riformulare un accordo migliore.

La risposta di Obama non si è fatta attendere, segnando quello che probabilmente ha rappresentato lo strappo definitivo tra i due, e le rispettive visioni. Il presidente statunitense ha detto che «Netanyahu non ha a cuore il suo popolo», forse lasciando intendere un velato riferimento all’opportunismo del discorso del premier israeliano proprio in concomitanza con la tornata elettorale che potrebbe segnare la caduta di Likud -il partito di Netanyahu- e della coalizione con il partito centrista Yesh Atid di Yair Lapid, attuale Ministro delle Finanze. Già nel 2013 infatti Netanyahu fu ad un passo dal fallimento, con una risicatissima maggioranza in Parlamento e con un Governo nato grazie a tripli salti mortali in ambito diplomatico, tant’è che Shimon Peres gli concesse dei giorni supplementari per riuscire nell’intento.

Dal 2013 ad oggi l’asse Likud-Yesh Atid non ha fatto molto per allargare il suo elettorato, soprattutto coloro che in Israele sono ostili all’intervento militare in quel di Gaza o ai duri scontri tra esercito e palestinesi nella zona dei Territori Occupati. A questo si sono aggiunti due motivi di particolare preoccupazione: per prima cosa la corruzione e l’inflazione dilagante, problematiche in cui ci specchiamo scoprendo -ogni tanto- che tutto il mondo è paese; per seconda cosa l’atavica lotta intestina tra lo Stato laico d’Israele e le massime cariche religiose, a cui si va ad aggiungere il corposo e sempre più corposo nucleo degli Haredim -più comunemente e impropriamente chiamati “ultraortodossi”-.

Isaac Herzog e Tzipi Livni, durante un comizio della coalizione in opposizione a Likud

Isaac Herzog e Tzipi Livni, durante un comizio della coalizione Unione Sionista, in opposizione a Likud

Non tutti gli ortodossi si professano antisionisti, né tutti gli ultraortodossi sono contro l’attuale maggioranza. Il partito Shas ad esempio, guidato dal rabbino sefardita Aryeh Deri – ex Ministro dell’Interno ed ex condannato per corruzione- è particolarmente attivo sul fronte della destra. Quella stessa destra nazionalista che domenica sera si è radunata per le strade di Tel Aviv, lo stesso raduno a cui ha preso parte Netanyahu, nell’ultima disperata caccia al consenso per arginare l’Unione Sionista di Herzog e Livni, in un grande carosello con autobus di coloni provenienti dai territori e venuti ad ascoltare i propri beniamini.

«Netanyahu non si discosta mai dal suo stile classico nei suoi discorsi -scrive il giornalista israeliano Barak Ravid su Haaretz Ha aperto raccontando di essere il primo ministro di tutti gli israeliani, anche quelli che non votano per lui, e poi ha invitato la folla ad evitare il tifo da stadio rispettando le regole del gioco democratico. Questo però non gli ha impedito di fare l’esatto contrario tre minuti più tardi, quando ha pronunciato un monito provocatorio che favorisce divisione.

Ha ribadito -continua Ravid che vi è stata una campagna globale per eliminare lui dal suo incarico, ha attaccato la sinistra e i suoi partner nei media (forse si riferiva ai colleghi di Canale 10 che lo stavano guardando dal nuovo studio sul tetto del palazzo municipale di Tel Aviv ) e ha concluso con una nota in cui ha evidenziato come i suoi rivali politici del centro e sinistra fossero traditori e anti-sionisti senza riserva»

 

Proiezioni seggi (fonte Haaretz)

Proiezioni seggi (fonte Haaretz)

 

Evidentemente il riferimento di Bibi era alla notizia trapelata tre giorni fa secondo cui lo stesso Netanyahu avrebbe denunciato un’interferenza dei paesi scandinavi nella campagna elettorale degli avversari di Likud, ribadito dal premier anche ieri:

“qualcosa sta succedendo in queste elezioni, qualcosa che era nascosto in un primo momento. Ora sono sicuro che tutti sono a conoscenza di questa cosa. Una fortuna è stato incanalata dall’estero per l’organizzazione della sinistra israeliana, con un unico obiettivo: sostituire il governo guidato da me con un governo guidato da Tzipi e Bougie, sostenuto dal partito arabo congiunto. Questi sforzi si concentrano in un solo messaggio: basta che non sia Bibi. Questo stanno facendo.”

In effetti la posizione di Netanyahu non è mai stata così precaria. Secondo le ultime proiezioni l’Unione Sionista pare essere davvero più che un’alternativa, mentre alle spalle di Likud assistiamo all’avanzata importante della sinistra arabo-israeliana Hadash in coalizione con liste arabe –Lista Araba Unita– , che affianca Yesh Atid e Focolare ebraicoIl candidato della Lista Araba Unita è Ayman Odeh, avvocato 40enne di Haifa, che ha già auspicato la vittoria di Herzog-Livni su Netanyahu, pur accettando un ruolo di opposizione. Il programma della Lista Araba è appunto rivolto al sociale, all’integrazione degli arabi -il 20% della popolazione- e alla lotta alle disuguaglianze.

Insomma il ventennio di Netanyahu pare dirigersi verso un punto di svolta focale, come analizzato qui da Tondelli, ed è obbligatorio chiederci quanto quella “volontà di cambiamento” espressa a suon di slogan dall’opposizione anti-Netanyahu possa davvero rappresentare un’inversione di rotta nella gestione di un’area ormai satura di tensioni.

Il segnale più importante però è quindi l’evidenza di uno spostamento a destra del premier, che pare aver trascurato il tanto amato centro di coalizione: per ora Netanyahu pare essere più attratto dal programma nazionalsionista di Focolare ebraico guidata dal suo ex delfino Nafthali Bennett. Più che altro, per Bibi sono arrivati i giorni convulsi delle danze multiple: la prima tra il centro e la destra, la seconda tra i rabbini e il laicismo oltranzista di Yair Lapid, il leader centrista di Yesh Atid, partner di governo con Netanyahu e attuale Ministro delle Finanze.

Yair Lapid, leader del partito centrista Yesh Atid

Yair Lapid, leader del partito centrista Yesh Atid

Il carovita è infatti il maggior problema a cui far fronte, unito ad una situazione generale di corruzione molto grave e molto cronica: l’inflazione sale, le banche aumentano i tassi di interesse, gli stipendi non aumentano a sufficienza, la ricchezza è distribuita molto male -dati Ocse inseriscono Israele tra gli ultimi posti al mondo.

Il cavallo su cui punta Netanyahu è Moshe Kahlon, e l’offensiva è partita proprio ieri sera a Rabin Square, dove Bibi ha offerto il dicastero dell’economia proprio al suo ex compagno di partito, ora principale candidato in un’altra lista di centro, Kulanu.

Non so se questi colpi dell’ultimo minuto potranno però dirottare un malcontento ormai resosi difficile da addomesticare. Così Dudu Amsalem, direttore di filiale di supermercato di Gerusalemme, intervistato dalla giornalista Anshel Pfeffer, spiega come pur votando Likud da una vita ha preferito non seguire Bibi in questa ultima battaglia:

«Io non sono fisicamente in grado come Likudnik -elettore del Likud, ndr- di votare i laburisti, ma sto votando Kahlon e non mi importa se nomina Herzog come primo ministro. Netanyahu ci ha usato -spiega- lui non si preoccupa di noi. Sono ancora un uomo di destra, ma gli iraniani e palestinesi non hanno intenzione di cambiare la nostra vita qui. Potremmo anche preoccuparci dello scioglimento dei ghiacci in Antartide, perché no -scherza. Il fatto è che la destra ha visto sempre la sicurezza come la sicurezza personale del popolo, e questo significa anche sicurezza finanziaria. Netanyahu non si preoccupa di noi, ed è per questo non ci importa di lui o il suo campo più»

Insomma, siamo alle strette finali, anche perché il timore maggiore per Netanyahu è proprio la propulsione che i laburisti hanno in virtù della coalizione con Tzipi Livni, leader del movimento HaTnuah. Livni, che molti paragonano a Golda Meir e che potrebbe divenire il prossimo premier donna proprio dopo l’indimenticata statista. La Livni dopo un’iniziale affezione al nazionalismo -è stata collaboratrice di Ariel Sharon, fece il suo esordio nel 1996 nelle fila del Likud- negli ultimi anni ha cambiato radicalmente le sue posizioni, facendosi promotrice di politiche di pace e volte all’integrazione degli arabi in Israele – è infatti a capo della rappresentanza diplomatica nelle trattative di pace. Ciò ha portato Tzipora a crescere sempre più fino a diventare delle maggiori alternative per quella fetta di paese che vuole abbandonare la durissima linea politica di Likud, volta ad un oltranzismo e ad un isolazionismo che rischia di portare Israele fuori dal contesto globale: «Credo, come i miei genitori, nel diritto che ha il popolo ebraico di occupare tutta la terra di Israele. Ma sono anche cresciuta per preservare Israele come la patria del popolo ebraico con i suoi valori democratici. Per questo, se devo scegliere tra i miei sogni e la necessità di vivere in democrazia, preferisco consegnare un po’ di terra in nome della pace», disse Livni in un’intervista al New York Times, rilasciata nel 2006. Recentemente è intervenuta anche sulla politica estera e sul discorso di Netanyahu a Washington: «Credo che noi sappiamo come lavorare meglio con la comunità internazionale nel prevenire che l’Iran ottenga le armi nucleari. E questo significa parlare in maniera profonda con gli Usa. Questo è qualcosa che noi possiamo fare e che invece Netanyahu non può, lui che ha portato ai livelli più bassi le nostre relazioni con l’America e il presidente Obama. La verità è che dietro la sue parole isteriche abbiamo un premier che ha paura: paura dei suoi ministri e del mondo esterno. E per questo va sostituito».

 

 

 

TAG: Israele, Likud, moshe khalon, Nafthali bennett, Netanyahu, tzipi livni
CAT: Medio Oriente

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