Sukot ovvero aggiungi un posto a tavola, sotto la capanna
From: Fiammetta Martegani
To: Susan Dabbous
Carissima Susan,
appena terminato Yom Kippur, in Israele comincia la folle corsa alla ricerca di rami di palma con cui costruire la propria capanna per Sukot.
Il termine “sukot” in ebraico significa proprio “capanne” e, come tradizione vuole, durante questa settimana si prepara una capanna per ricordare il periodo trascorso dal popolo ebraico nel deserto, in viaggio verso la terra promessa, dopo la fuga dall’Egitto.
Questa festa è molto amata in particolare dai bambini perché usanza vuole di invitare sotto la capanna amici e parenti per cenare e, perché no, dormire insieme sotto le stelle. E i piú piccoli non si fanno alcun problema a dormire in sacco a pelo e materassino improvvisati a seconda dei casi in giardino, terrazzo o nel cortile del condominio, dove spesso bambini di famiglie diverse si ritrovano a fare le ore piccole assieme anche perché durante la settimana di Sukot non c’è scuola.
Un altro grande classico di Sukot è che proprio durante questa settimana in cui si dorme all’aperto, all’improvviso, dopo 6 lunghi mesi di caldo torrido senza mai una sola goccia d’acqua, arriva la prima e attesissima pioggia, quella che segna l’arrivo dell’autunno, che poi in Israele dura altri sei mesi passando direttamente alla primavera senza che il vero inverno arrivi mai. Si dice proprio che la prima pioggia arriva a Sukot e l’ultima a Pesach con l’arrivo della primavera con cui poi ha inizio la lunga estate israeliana.
Insomma, come potrai aver dedotto sono una persona fortemente metereopatica e, forse anche perché sono nata in ottobre, amo di gran lunga di piú questo periodo dell’anno che sta per arrivare rispetto a quello che è appena finito.
Ma dimmi tu, invece, come è stato il passaggio dall afoso Medio Oriente al piovoso Belgio? E a te quanto influenza il clima sullo stato d’animo?
From: Susan Dabbous
To: Fiammetta Martegani
Cara Fiammetta,
e a chi non piacerebbe vivere sotto una capanna se solo il tempo (meteorologico) ei tempi (sociali) lo consentissero? C’è un gruppo di chiese olandesi, ad esempio, che ha deciso da diversi anni di seguire le tradizioni bibliche e festeggiare il Sukot nel cortile delle proprie parrocchie. La capanna è un luogo magico, di libertà e allo stesso di contenimento, è un luogo primordiale che dà sicurezza senza però limitarci. C’è un senso di libertà nelle tende che mai ci potranno dare i nostri appartamenti. Paradossalmente, appresentano il punto più alto dell’emancipazione dalla paura e dall’ossessione per la proprietà privata.Viviamo nelle nostre piccole fortezze con il desiderio di prendere dal mondo esterno solo quel che piace, perché il resto ci spaventa.
Le città europee sono diventate luoghi sempre piú alienanti dove per percepire un senso di comunità, di aggregazione, si va ai mercatini di quartiere, dove sotto le “capanne” si incontrano i volti cordiali di chi è lì, aperto, per il pubblico.
Ma poi si fa davvero amicizia? Ci si fida davvero del prossimo? Credo che il disastrato Medio Oriente, al netto dei suoi conflitti, sia socialmente più semplice.
Una semplicità che un po’ mi manca, sarà che oggi è iniziato l’autunno qui a Bruxelles. Finora ce l’eravamo cavata con un’estate lunghissima e insolitamente soleggiata. Il mio umore tiene botta, aiutato anche da una quantità infinita di cose fare. Quando ero a Gerusalemme, ricordo che durante la settimana di Sukot curiosavo nei giardini e nei balconi dei vicini per vedere cosa, o chi, ospitassero nelle capanne. Nella speranza, mai attesa,di vedere qualche famiglia israeliana sotto la stessa tenda con una famiglia palestinese. Sono sicura che fuori dalla tradizionale Gerusalemme questa festività dia l’occasione per fare cose fuori dall’ordinario.
From: Fiammetta Martegani
To: Susan Dabbous
Carissima Susan, in Israele, ormai dal 1983, la settimana di Sukot è diventata la settimana del Haifa Film Festival: durante il quale non solo le sale cinematografiche ma l’intera città si apre al resto del paese, in vacanza, e ai cinefili di tutto il mondo, permettendo così di scoprire anche la grande ricchezza culturale di Haifa.
Città del Tecnion, il politecnico israeliano da cui escono i futuri ingegneri di Startup Nation, Haifa è anche simbolo di convivenza, a partire proprio dalle aule dell’università per finire ai piccoli ristoranti nascosti tra un vicolo e l’altro delle colline del Carmelo.
Tuttavia quest’anno a mettere i bastoni tra le ruote è stata la solita guastafeste Miri Regev, Ministro della Cultura, nota per avere spesso da ridire proprio sulla cultura e l’arte israeliana, quando non è abbastanza schierata a destra, in linea con il partito Likud di cui la Merev è membro.
Quest’anno è toccato al Festival di Haifa, a causa di due film: “Out”, un film molto critico nei confronti dell’esercito israeliano e “Acre Dreams” che racconta la storia d’amore tra un Romeo ebreo e una Giulietta araba ai tempi del Mandato Britannico.
Secondo la Regev questo genere di film “anti-israeliani” non dovrebbero ricevere finanziamenti governativi, così come il Festival di Haifa, che osa proporre nel suo programma tematiche tanto pericolose.
Sempre la stessa ministra aveva riservato lo stesso tipo di trattamento e minacce lo scorso anno al Festival di Teatro di Acco, altra grande attrazione nazionale e internazionale che dal 1980 si tiene sempre durante la settimana di Sukot tra i teatri e i vicoli della città vecchia di Acco.
Gli episodi di censura da parte della Regev, dal boicottaggio del romanzo “Borderlife” di Dorit Rabinyan (altra storia d’amore questa volta tra un’ebrea e un palestinese a New York), al film “Foxtrot” di Samuel Maoz (altro film assai critico nei confronti dell’esercito israeliano, per altro vincitore lo scorso anno del Festival di Venezia), fino a quello della partita amichevole tra nazionale argentina e israeliana, sono ormai diventati routine nel calendario di tutti gli eventi culturali del calendario israeliano e nel boicottare tutte queste diverse opere d’arte o festival la Regev di fatto non fa che boicottare lo stesso Israele e la voce pluralista e polifonica che rende unico questo paese.
From: Susan Dabbous
To: FiammettaMartegani
Cara Fiammetta,
mi consola sapere che la ministra della cultura Miri Regev perseveri nei suoi goffi tentativi di censura. Quanto meno dà alla sinistra israeliana buoni motivi per reagire e dare segni vita. Peggio sarebbe avere un ministro Likud intelligente, capace di guadagnare le simpatie di registi e scrittori. Sarebbe la fine di ogni forma di opposizione, visto che in tutti gli altri settori la sinistra non riesce a fare, politicamente, la differenza. Dai negoziati di pace al palo, alla moltiplicazione degli insediamenti in Palestina. Senza dimenticare il fatto che i veri Romeo (spesso musulmani) e Giulietta (spesso ebree o cristiane) devono andare a Cipro per sposarsi, come sanno bene le coppie miste di Haifa, la città con il più alto numero di matrimoni interreligiosi del Paese.
Recentemente ho avuto la fortuna di assistere nella chiesa di Notre Dame de Soblon, a Bruxelles, ad un matrimonio misto tra una afroamericana e un ragazzo magrebino. Sarà che c’era un coro gospel di professionisti, sarà che gli invitati erano etnicamente incantevoli da osservare assieme, tutti diversissimi, tra bianchi francofoni e fiamminghi, neri, e olivastri, che ho pensato: che bella l’umanità che si apre, si fida e si ama. Ma, per favore, non lo dire a Miri Regev.
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