Cantare Bella Ciao a Kabul nel ricordo di Farkhunda

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28 Aprile 2015

Non importa il luogo, non importa la lingua. Bastano solo quelle due parole, magiche, a far respirare il profumo di libertà. Bella Ciao. Perché il canto simbolo della Resistenza italiana è questo, un inno mondiale contro la sofferenza e i soprusi, la voce della speranza e della lotta. Ovunque. Anche in Afghanistan (guarda il video).

“Un altro giorno, un’altra mattina, siamo usciti per la città del sangue, ma non si sa se torneremo”. Così cantavano ieri mattina i ragazzi di Kabul. In tanti, scesi in strada senza paura, nel 40esimo giorno dall’omicidio di Farkhunda, la giovane donna di 27 anni picchiata e data alle fiamme  da una folla di uomini inferociti lo scorso 19 marzo.

La sua colpa, si disse inizialmente, era stata quella di aver dato alle fiamme una copia del Corano. Nulla di più falso. Le indagini della polizia, rivelarono che, in realtà, la ragazza non aveva bruciato assolutamente nulla, ma aveva solo avuto un acceso diverbio con alcuni venditori di amuleti, che abusavano dell’ignoranza dei fedeli per arricchirsi. Così come era falso che fosse una malata psichica, come venne descritta in un primo momento. Farkhunda, studiosa di diritto islamico, era invece l’esatto contrario. Ossia una ragazza con doti intellettuali superiori alla media.

Lo straziante video di Farkhunda con il volto coperto dal sangue, ferita a morte, senza che la polizia avesse mosso un dito, ha fatto il giro del mondo, scatenando  un’ondata di indignazione. Più di tremila persone scesero in piazza chiedendo giustizia, e al suo funerale le donne di Kabul, violando il rituale islamico, non permisero agli uomini di toccare il corpo. A trasportare la bara ci pensarono loro.

Ad oltre un mese dalla sua morte, Farkhunda non è stata dimenticata. Ieri nella tradizionale cerimonia 40esimo giorno, che nel rito funebre islamico decreta la fine del lutto per i famigliari della vittima, una compagnia di attori ha messo in scena i momenti drammatici della sua morte. Per ricordare e chiedere giustizia. Intorno un muro di voci intonava quella melodia, capace in ogni lingua di esprimere lo stesso sentimento: “Non abbiamo paura, non ci arrendiamo, resisteremo fino all’ultimo fiato o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao”.

TAG: afghanistan, farkhunda, femminicidio, kubra Khademi, Resistenza
CAT: Medio Oriente, Questione islamica

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