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Benessere

Imparare il cancro: nessuno ci insegna a essere pazienti

di Marco Dell’Acqua
24 Luglio 2018

Il cancro è uno dei mali dei nostri tempi e la ricerca ogni giorno fa un passo avanti per cercare di portare in remissione (questo è il termine tecnico) quante più persone possibile. Aumenta così, fortunatamente, il numero dei sopravvissuti di lungo periodo.
Quando arriva la neoplasia, però, non fa tanti complimenti, non bussa, non chiude la porta, arriva violenta e fa sbattere i vetri. In quel preciso istante, istante che nessun paziente potrà mai dimenticare, abbiamo visto aprirsi il baratro di fronte a noi. E’ come trovarsi in cima all’Everest in costume da bagno, come essere al largo e non saper nuotare, non sai come fare.
Non ti ha addestrato nessuno ad affrontare un momento del genere.
Neppure i manager, i generali o gli atleti più fighi, quelli con il sangue di un crotalo sanno come affrontarlo. Sono in tanti i santoni da strapazzo, i guru del pensiero positivo, quelli che ti vogliono sempre insegnare qualcosa e ti dicono che la malattia aiuta a crescere, che rende persone migliori, che non ci sono problemi ma solo opportunità, che bisogna essere resilienti. Tutte cazzate dette da chi non l’ha provato, da chi non ha mai passato un minuto in una sala di attesa, che non si è mai sentito dire una previsione di vita o le percentuali di sopravvivenza a un certo trattamento.
Il cancro fa schifo, punto.
Ci sono i manuali sull’arte della guerra, sugli scacchi, sul management ma non ce ne è uno che ti spiega cosa vuol dire essere un paziente oncologico.
Bisogna rimettere indietro l’orologio, si deve iniziare un nuovo percorso di apprendimento in cui tutto è nuovo, ripartire dall’alfabeto.
Un momento in cui vedere gli altri nelle stesse condizioni, magari parlandoci durante le attese agli ambulatori, ci aiuta migliorare il nostro apprendimento del linguaggio, della sintassi del cancro. Impariamo a condividere un codice universale, che tutti i pazienti conoscono ma è universale anche per l’instabilità che una diagnosi di questo tipo porta con sè. Dietro a ogni paziente c’è un universo fatto di affetti, di piccoli mondi quotidiani che si sbriciolano.
Ci sentiamo soli, perché se non conosciamo la lingua del cancro, ci sentiamo stranieri sulla nostra terra.
Imparare il cancro significa imparare a difendersi da lui, quando non c’è ancora e quando si manifesta, apprenderne il linguaggio può aiutarci a spiegare agli altri, a parlarne con i medici.
Però non cè nessuno che ci aiuta in questo, pe questo penso che il ruolo degli ex pazienti sia fondamentale. Se non altro per restituire uno spillo di quanto si è avuto.

Qui mi permetto di dare alcuni suggerimenti sulla base della mia esperienza di paziente oncologico (A partire dal 2005, all’Istituto dei Tumori di Milano, mi hanno salvato la vita curandomi un MIELOMA con tre trapianti di midollo osseo, due con le mie cellule e uno da donatore non consanguineo).
La paura attanaglia e immobilizza l’anima e la lingua, quindi il primo consiglio è togliersi, per quanto possibile, ogni dubbio.
– Non avere paura a parlare del cancro, chiamiamolo con il suo nome. Se è arrivato non è colpa nostra.
– Chiedere sempre tutto ai propri medici, l’ascolto fa parte del loro lavoro e esigere sempre chiarimenti è un nostro diritto, inoltre sanno anche loro che ci devono parlare
– Andare sempre in grandi centri, più casi vedono più sapranno aiutarci
– Se avete dei dubbi su un dottore andate da un altro, ma quando avete trovato quello che vi dà fiducia seguitelo
– Essere paziente e avere delle nozioni sulla propria malattia non fa diventare automaticamente dei dottori,
– Utilizzare i social e internet con molta attenzione, cercare storie di pazienti la cui esperienza finita bene è un incoraggiamento che da conforto ma
– Bisogna stare attenti alla nostra privacy, non si deve pubblicare, come fanno alcuni, gli esami su internet o su Facebook per avere dei riscontri, non stiamo parlando della ricetta dell’arrosto
– Consultare siti istituzionali: ospedali e associazioni sono affidabili, pinco pallino.com no.
– Avere degli affetti saldi che sappiano comprendere il momento
– Essere un po’ egoisti, dobbiamo rimetterci al centro della nostra vita
– Essere rigorosi nelle terapie, sono dure, prevedono ore con le pompe, gli sciacqui (Mycostatin e roba del genere),
– Non dobbiamo mai vergognarci di mostrare il nostro corpo con i segni della malattia. La testa pelata, i buchi dei prelievi e dei cateteri sono i segni della sofferenza ma non una colpa.
I sani intelligenti capiranno, altri toccheranno ferro, altri ancora non capiranno niente.
– Chiedete aiuto agli psicologi se vi sentite in ansia, loro hanno gli strumenti per aiutarvi
– Siate promotori della ricerca
– Siate consapevoli che con le terapie si inizia un viaggio e prima di pensare alla destinazione finale (che è ovviamente la vita da vivere) bisogna preoccuparsi del viaggio per affrontarlo nel migliore dei modi. Durante il viaggio si completa l’apprendimento per tornare a imparare vivere.

Affetti, forza, medici bravi e culo servono ad affrontare il cancro e magari a batterlo.
Questo pezzo è per chi non può scappare e sta lottando.
#dontgiveupthefight
Il mio blog in cui racconto la mia esperienza con la malattia

cancro
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