Tutto brucia ma la tragedia dà sollievo

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8 Novembre 2021

L’antropologo brasiliano Viveiros de Castro racconta nei suoi libri popolazioni amazoniche come gli Yanomami che oggi più che mai hanno qualcosa da insegnarci perché loro una fine del mondo l’hanno già vissuta. Circa seicento anni fa, con il colonialismo europeo, hanno già sperimentato la “Caduta del cielo”.

Tutto brucia è il titolo dello spettacolo che i Motus hanno portato sul palco della Triennale di Milano, dal 4 al 7 novembre.

Tutto brucia racconta questa sensazione di mondo che sta finendo, cielo che sta cadendo, fra cicloni che sommergono Catania, pandemie che bloccano in casa, morti insepolti, morti in mare, uomini e donne sradicati dalle loro terre riarse dal sole o dalla guerra e costretti migrare. Oppure di Troia distrutta; del corpo insanguinato di Astianatte; di donne, prima regine e principesse, date in schiave agli achei, costrette a lasciare la loro terra e a servire i vincitori.

Daniela Nicolò e Enrico Casagrande mettono in scena le Troiane di Euripide: la storia di una fine e della disperazione di Cassandra, Ecuba, Andromaca. Le parole sono in parte quelle di Sartre, che riscrisse la tragedia negli anni ’60 con riferimenti all’imperialismo e alla guerra di Algeria. E fra le sue parole anche quelle di Judith Butler, Edoardo Viveiros de Castro, Donna Haraway, NoViolet Bulawayo.

Alcune delle voci più significative e significanti del nostro tempo nutrono la tragedia classica di Euripide e attraverso Euripide si tocca il nostro tempo.

La scena è buia, si intuisce la terra devastata e desolata, i corpi magrissimi di Silvia Calderoni e Stefania Tansini strisciano e danzano, urlano e gemono e parlano la lingua di Euripide o di Haraway. E accanto a loro R. Y. F. (Francesca Morello) canta in inglese, con voce ora dolcissima ora straziata, “This was the city… Only smokes and ashes everywhere…” e il suo canto è un commento alla scena: il Coro. Il Teatro per antonomasia.

In altri tempi e in altri spettacoli i Motus hanno usato inserti video ed effetti e uno sguardo molto proiettato – anche – sulla tecnica e sul presente.
Ora, sulle rovine della città bruciata, nel lutto di un mondo finito, quello che salta all’occhio è una sorta di bisogno di attingere al classico, all’essenziale. Solo corpi sul palco, e la bellezza di danza e movimenti da cui traspaiono lavoro e precisione; musica elettronica e luci contribuiscono all’atmosfera poetica e sospesa della fine, insieme al Coro; le parole di oggi nutrono le voci delle schiave troiane e la loro sorte e il loro racconto riecheggia nelle domande del presente, ci chiediamo anche noi quali morti vadano pianti, e nei viaggi di allora di Ecuba o di Cassandra dalla costa della Turchia verso le isole greche risuonano i viaggi di oggi, ma senza bisogno di dirlo perché nell’essenziale c’è già tutto.

TAG: cultura classica, Motus, Silvia Calderoni, Triennale Milano
CAT: Milano, Teatro

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