La mia attività deve sopravvivere e le mie clienti sono il mio faro nella notte

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27 Aprile 2020

Come stanno vivendo le piccole medie imprese, gli artigiani, le partite iva questo periodo di emergenza sanitaria? Ma soprattutto, chi sono? E perché dovremmo scegliere loro anziché grandi marchi, spesso tutti uguali, che ci ingolosiscono per via delle mode del momento e magari per prezzi stracciati?

Il Coronavirus ha inevitabilmente indebolito e messo in crisi piccole o anche ben avviate realtà che quotidianamente lavorano con passione per ritagliarsi uno spazio nel mercato. Realtà che fanno ricerca del prodotto, delle materie prime se lo realizzano, che propongono originalità, qualità e cercano di veicolare un concetto, un messaggio, oltre che vendere.

Nella seconda puntata del mio piccolo viaggio tra queste bellissime realtà italiane (la prima potete leggerla cliccando qui) ho intervistato Erika Rossin, fondatrice del brand Pretty in Mad, che propone abiti originali e fatti a mano in Italia.

Com’è nato il tuo brand?

Ho cominciato a cucire circa sei anni fa, mi trovavo in disoccupazione dopo aver lavorato per anni come commessa in vari negozi di abbigliamento – un lavoro che non sentivo più appartenermi da tempo – e inizialmente era, come potete immaginare, solo un hobby. Ma più passava il tempo più mi interessavo non solo al cucito, ma alla comunicazione, al personal branding, al social media marketing e alle mille altre cose che ruotano intorno ad un’attività vera e propria. Nel frattempo avevo trovato un lavoro stagionale per l’estate che mi permetteva di mettere da parte qualche soldo e mi lasciava l’inverno libero per occuparmi del mio brand che continuava a crescere e aveva bisogno di attenzioni sempre maggiori. Dopo qualche tempo passato ad imparare a gestire il mio shop on line ho capito che questa attività assorbiva la maggior parte del mio tempo e mi sono scoperta ad amare molto ciò che facevo e a sognare che diventasse il mio lavoro a tempo pieno. Nel 2015 ho preso il coraggio a due mani, ho rifiutato la proposta di lavoro stagionale (sarebbe stato il terzo anno consecutivo) e ho invece aperto partita IVA. Era un vero e proprio salto nel buio, ma ad oggi dopo cinque anni che vivo di questo, posso ben dire di aver fatto la scelta giusta e di amare sempre di più questo lavoro.

Di cosa ti occupi principalmente? Cosa proponi?

Propongo abbigliamento che definisco urban, femminile e contemporaneo: capi – principalmente gonne abiti e top – in taglia unica e dalla vestibilità comoda, che ci possano far sentire belle e a nostro agio tutti i giorni. È importante per me che il vestirsi sia un piacere e non un cruccio, quindi propongo pezzi facili a cui si può dare diversa personalità a seconda degli accessori che vi vengono abbinati. A questa produzione si affianca anche qualche accessorio a seconda della stagione: fasce turbante, berretti in lana, sciarpe, pochette per citarne alcuni. Amo molto scegliere con cura e attenzione i tessuti che propongo e vado particolarmente fiera di quelli con pattern esclusivo, i disegni dei quali vengono commissionati di volta in volta a tatuatrici e illustratrici che stimo. Le collezioni di questo tipo sono sempre molto apprezzate e mi hanno permesso nel corso degli anni  di raggiungere uno stile originale e riconoscibile.

Quali problematiche hai riscontrato in questo periodo di emergenza sanitaria?

Le problematiche dovute da questo periodo tremendo sono state più di una e di diverso tipo.
Dal punto di vista pratico prima di tutto, per mia scelta, già il 12 aprile avevo deciso di sospendere le spedizioni fino alla fine del primo decreto, il 3 aprile. Mi è sembrato un atteggiamento responsabile e rispettoso in quel momento di emergenza, che ho continuato a mantenere spedendo di volta in volta man mano che si succedevano i decreti (mentre in situazione normale spedisco i miei capi anche più volte a settimana). Come dicevo sopra, lavoro spesso con tessuti personalizzati che mi faccio stampare di volta in volta, ma lo stabilimento che si occupa di farlo è chiuso come molti altri che si occupano di questo. Avevo in previsione un bel lancio e ho deciso di non rinunciare, ho rischiato: ho aperto preordini con consegna a data da destinarsi e le mie clienti hanno accolto l’idea con gioia inondandomi di preordini e di messaggi stupendi “per le cose belle vale la lena aspettare” e “riceverlo quando tutto questo sarà finito sarà una gioia ancora più grande”.  Ho inviato l’ordine di stampa dei tessuti pochi giorni fa con tanta emozione, ora non ci resta che aspettare.
Questo periodo di emergenza sanitaria mi ha messa alla prova anche dal punto di vista della comunicazione: fare marketing è diventato emotivamente difficile, promuovere il mio lavoro difficoltoso, perché parliamoci chiaro: davanti a così tanta sofferenza chi ha voglia di parlare di cose futili? Era (ed è ancora) psicologicamente pesante, ma devo farlo perché la mia attività ha bisogno di sopravvivere a tutto questo. Fortunatamente ancora una volta le mie clienti sono state il mio faro nella notte, mi hanno rassicurata e indicato la via scrivendomi che non mi dovevo sentire in colpa o in difetto, che la leggerezza e la quotidianità  che portavo loro tramite le mie Instagram Stories (strumento che più uso per comunicare la mia attività) era di aiuto, in un momento in cui le troppe notizie e il troppo parlare della situazione corrente, generava in loro molta ansia.

Le misure del governo in qualche modo ti sono state d’aiuto?

Ho ricevuto i 600 euro di aiuto previsti per le piccole attività, e non mi posso certo lamentare, il problema è però che per il momento le imposte di giugno non hanno subito nessun tipo di variazione e se l’emergenza sanitaria dovesse continuare portando un calo importante delle vendite sarà difficoltoso adempiere ai propri doveri in questo senso. Credo che il problema sia a monte.
Ma come mi sto ripentendo da quando è cominciata questa storia, anche a questo “ci penseremo quando sarà ora!”

Quanto contano i social network e il web per una realtà come la tua?

I social network giocano un ruolo importantissimo nella mia realtà: mi permettono non solo di vendere ma di farmi conoscere e di restare in contatto con una community pazzesca, parte della quale mi è vicina da tempi non sospetti,  ben prima che io trovassi la mia strada con questa attività: avevo un blog di fotografia analogica (la mia passione) che si chiamava proprio “Pretty in Mad”, nome che è rimasto anche per la mia piccola impresa. È bellissimo perché non è solo un rapporto brand/clienti ma si tratta di rapporti umani e di affetto: il supporto morale e il conforto che mi hanno dato in queste ultime settimane è stato incredibile e non finirò mai di ringraziare abbastanza per questo.

Quali iniziative hai intrapreso per far fronte a questo periodo?

Prima di tutto ho dovuto rivedere l’organizzazione del mio lavoro, rimettere mano a ciò che avevo pianificato e sconvolgere i programmi. Solo il tempo mi dirà se l’ho fatto nel modo giusto oppure no. Come dicevo ho da prima stoppato, e poi drasticamente diminuito, la frequenza delle spedizioni, ho modificato le modalità di un lancio importante e per il resto ho cercato di trovare un modo di comunicare adatto alle circostanze, trovando un tono meno “carico”, più rassicurante, e inserendo nella comunicazione quotidiana più momenti “non lavorativi” per portare un pochino di svago nei contenuti che pubblico. Cerco a mio modo di far capire a chi mi segue che è importante affrontare questa situazione un giorno alla volta e che sui miei canali troveranno sempre un po’ di normalità e leggerezza per sfuggire all’ansia che ci circonda in questo pesante momento storico.

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TAG: coronavirus, Erika Rossin, made in Italy, Pretty in Mad
CAT: Moda & Design

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