Modern,l’arte di un museo di difendere il passato lasciandolo vivere nel futuro

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30 Dicembre 2017

Nel periodo di shopping sfrenato che precede il Natale diventa urgente  una riflessione sugli oggetti presenti nella nostra vita.

Quando l’oggetto viene immesso sul mercato diventa merce, lo analizziamo, lo valutiamo, lo scambiamo, circola liberamente. Nel  mondo che ci circonda sempre più attento alla bellezza esteriore, accanto alla funzionalità, i vari brand  cominciano a sfidarsi  sul design. Un conflitto che si sta esplicando anche e soprattutto sulla ricerca del packaging innovativo del prodotto (la veste con cui si affaccia al pubblico), sempre più attento all’ uso di materiali sostenibili e  alla comodità per i consumatori. I magazzini sono pieni di scorte, le discariche in cui convogliarli stracolme. La quantità ci affascina, le luci ci ammaliano, simbolo di un’ abbondanza a volte solo fittizia. Così come fittizio è il movimento che produce l’andirivieni della clientela, i parcheggi spaziosi invasi dalle auto.

Eppure ci sono oggetti che sfuggono alla spietata legge del consumo, sono quelli  che bisogna ritenere, mantenere in  memoria, quelli che hanno introdotto un’ evoluzione nella nostra vita, che la ha agevolata, semplificandola.

Ci sono oggetti che attestano  la bellezza di un periodo storico, che al pari della nobiltà di certe  opere bisogna difendere, proteggere e conservare nei musei. Sono testimoni di un’epoca e  perciò, oltre ad un valore intrinseco, sono in sintonia con il periodo in cui sono stati prodotti.

Al riparo dei tempi cattivi, dalle intemperie del mondo, dai grattacieli orrendi, supermercati e centri commerciali, sono  come il buon vino che  invecchia nelle cantine. Suscitano tenerezza, ci emozionano perché parlano di una fase della nostra età, sono lo specchio di quel che eravamo e il riflesso di quello che siamo.

Ci hanno servito lentamente, alcuni di loro sono legati allo spot che li hanno accompagnati come un marito fedele. Esposti in un luogo acronico e acosmico, il museo, hanno il potere di spostarci nel tempo, si oppongono alla legge della fragilità della condizione umana.

Gli oggetti rafforzano la nostra identità, non ci fissano, ci permettono al contrario  di fuggire nel tempo, ci legano al ricordo di una persona cara, rievocano un viaggio compiuto con amici, una serata romantica,  testimoniano l’ affetto di chi ci ha fatto un dono, suscitano riconoscenza e restituiscono colori e vibrazioni emotive. Portano l’impronta fotografica di quello che siamo stati, spesso non dissociamo il loro essere dal modo in cui ci presentavano e rappresentavano.

Al pari delle ruote di una carrozzina, ci consentono un continuo movimento psichico a differenza del carrello della spesa oggetto feticcio del tempio del consumo che seppur dotato di ruote riproduce, nella sua struttura a cella metallica, una prigione, suggerendo al contrario rigidità psichica.

Queste sono le sensazioni prodotte in me dalla visita al MODERN,  Museo Osservatorio didattico e di ricerca sul Novecento e  Museo della Pubblicità e del Packaging a  San Marco dei Cavoti, paese noto per la produzione di torroncino, il prodotto dolciario tipico a cui viene dedicato una settimana di eventi nel mese di dicembre.

Restaurato grazie a un finanziamento pubblico dal 2011 al 2016 e concesso dai proprietari Jelardi come area espositiva al Comune, il palazzo, affidato alla direzione  di Andrea Jelardi, ospita13 sale arredate con mobili d’epoca, la biblioteca, le diverse collezioni e archivio della famiglia Jelardi nonchè la prima e unica esposizione italiana di oggetti pubblicitari tutti databili dalla metà dell’ 800 ai giorni nostri

Un museo che propone un viaggio in altri luoghi, spazi, oggetti.

Troviamo ad esempio Il bar con arredi e accessori anni cinquanta e sessanta, le sedie sono in ferro con finiture in corda di pvc  tipiche di quell’epoca.

Il salone del barbiere è il simbolo di un tempo in cui era un luogo di ritrovo, in cui al pari del foro romano, si dibattevano argomenti più disparati.

Casimiro Cuomo di mestiere portalettere oltre che barbiere utilizzava il cassetto destra del mobile della barberia per un singolare servizio di “fermo posta”. Usava, infatti, riporvi la posta riservata dei giovani fidanzati che volevano eludere la sorveglianza delle proprie famiglie. Le lettere erano secretate fino al ritiro domenicale.

 

 

La lambretta propone il modello Lui prodotto dalla Innocenti e accompagnata da un cartello Agip gas con il logo del gatto a tre code disegnato da Egidio Matta, vincitore di un concorso bandito per  la pubblicità ENI e voluto da Enrico Mattei.

 

Sono esposti alcuni modelli di barattoli di caffè  che ci introducono e ci fanno ripercorrere la storia della bevanda di cui milioni di italiani non possono fare più a meno. Al barattolo in vetro realizzato alla fine degli anni cinquanta dalla Illy di  Trieste, si affiancano le confezioni in latta tra cui quelle della ditta Aloja fondata a Napoli. Troviamo poi  quelle del caffè Paulista di Lavazza di cui è rimasto impresso nella memoria di ciascuno il baffuto caballero brasiliano. Ai barattoli della Kimbo, si alternano quelli del caffè Suerte, le cui onde e motivi  vari consentono il loro riutilizzo come oggetti ornamentali

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non mancano le macchine da scrivere. In mostra la Lexicon 80, prodotta  nel 1959 e realizzata dalla Olivetti, è l’erede del modello Olivetti M40 uscito nel 1930 e progettato da Camillo   Olivetti e Gino Levi Martinoli. Accanto si trova l’antesignana americana underwood, prototipo a cui Olivetti si era ispirato. Oltre a modifiche tecniche, Camillo Olivetti apporterà un’ innovazione anche nel design poiché a suo dire: “Una macchina per scrivere non deve essere un gingillo da salotto, con ornati di gusto discutibile, ma avere un aspetto serio ed elegante nello stesso tempo”. E poi ancora televisioni, giradischi,telefoni che ci costringevano a una postazione fissa, ma che ci facevano sognare le telefonate più agognate per poi correre perché nessuno la intercettasse prima di noi

 

 

Al di là della squisita bontà dei biscotti, mitiche restano le famose ed originali  scatole della Colussi o  della Lazzaroni custodite con cura per la loro bellezza e che  spesso assumevano un’altra vita diventando recipienti che contenevano oggetti per il cucito, bollette o altro. L’importanza nazionale della dolciaria Lazzaroni, ad esempio, ci viene fornita  persino da  riferimenti in letteratura; le scatole di questi biscotti  vengono citati nei romanzi d’esordio di Rosetta Loy ,“La bicicletta”, e di  Margaret Mazzantini, il catino di zinco”.  Le scatole della Lazzaroni, inoltre, si fregiavano della scritta “Fornitori della Real Casa”, un riconoscimento importantissimo che nell’Italia monarchica veniva conferito solo ai produttori che avevano l’esclusiva di fornitori della corte di Casa Savoia.

 

 

Le riviste di moda ci ricordano gli abiti che vestivano un’epoca, altre riportano quelli che sono stati casi scottanti di cronaca

Nel reparto liquori, fa capolino Brancamenta in cui lo slogan “12 mesi d’estate” era in netto contrasto col ghiaccio scavato e trasformato in bicchiere con cui servire la bevanda. E’ presente il Campari che declina diversamente “l’intenso brivido di piacere” proponendo una passione rigorosamente contrassegnata dal  rosso, e il cui slogan filosoficamente considerava l’attesa del piacere alla stregua  della sua realizzazione. Forse stregato doveva essere anche Vinicio Capossela che in “Con una rosa” fa riferimento al famoso liquore: “Gialla come la febbre che mi consuma, come il liquore che strega le parole”, riferimento presente, ancora,  nel brano “Canzone a manovella”: “savoiardi nella congrega inzuppati dentro la strega”.

 

 

 

Uscita dal Modern, ho l’impressione che luoghi ed oggetti siano stati sottratti dal silenzio, dalla bruma. Oggetti che  restituiscono le tracce evitando di  svuotare il presente, per riconoscerne, poi,  l’evoluzione futura. Al pari di una coperta calda, il tempo è capace di non logorare, permette ad alcuni oggetti di perdere il loro carattere perentorio, per coprirsi di polvere e guardare con clemenza la nostra condizione di esseri mortali, sensibili, resistenti. Il passato, perciò, non  si sottrae dal presente per fare rimostranze e tenergli il muso, fa parte, anzi, dell’istante che si sta vivendo, gli conferisce spessore. Un ricordo è anche stupore e gratitudine quando un oggetto lo evoca pescando nel granaio della memoria.

Pare che dica, ricalcando Apoloinnaire in “le Pont Mirabeau”: “I giorni se ne vanno io rimango”

 

 

 

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CAT: Musei-Mostre

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