Appunti su Johann Sebastian Bach, nostro contemporaneo

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10 Novembre 2018

« … il est évident que les rhétoriques et les prosodies ne sont pas des tyrannies inventées arbitrairement, mais une collection de règles réclamées par l’organisation même de l’être spirituel. Et jamais les prosodies et les rhétoriques n’ont empeché l’originalité de se produire distinctement. Le contraire, à savoir qu’elles ont aidé l’éclosion de l’originalité, serait infinement plus vrai ».

Baudelaire, Salon de 1859.

1. La cantata Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit BWV 106, Actus tragicus, scritta probabilmente sul finire del soggiorno a Mühlhausen, nel 1708, pur raccogliendo testi di varia provenienza (nell’ordine: parte 2, dopo la Sonatina introduttiva: Atti degli Apostoli 17, 28; Salmo 90, 12; Isaia 38, 1; Ecclesiastico 14, 18; Apocalisse 22, 20; parte 3: Salmo 31, 6; Luca 23, 43; strofa 1 del corale Mit Fried’ und Freud’ ich fahr’ dahin; parte 4: strofa 7 del corale In dich hab’ ich gehoffet, Herr), ha una struttura assai ordinata e compatta, e dimostra già nel giovane Bach (23 anni!) quell’attitudine alla simmetria, alla simbologia numerica, all’incastro contrappuntistico, al gioco allusivo, che non lo abbandonerà mai più.

Divisa in quattro parti, la prima è interamente occupata da una Sonatina che funge da introduzione strumentale. Segue una sezione assai articolata, che prevede la successione di un coro, un’aria per tenore, un’aria per basso e un altro coro. Ma il primo coro è tripartito in una sezione omofona (il tempo di Dio), una fugata (la vita), e una terza di nuovo omofona (la morte: speculare alla prima, perché la morte riconduce a Dio). Il coro conclusivo della sezione comincia con un fugato al quale succede un a solo del soprano (Ja, ja, ja, komm, Herr Jesu, komm: sì, sì, sì, vieni, Signore Gesù, vieni) al quale si unisce poi il coro, di modo che la sezione finale risulta la somma delle due precedenti. L’aria del tenore è una ciaccona, quella del basso è in stile concertante. La terza parte della cantata comprende un’aria per contralto e un’aria per basso alla quale si aggrega alla fine un corale. La quarta e ultima parte è interamente occupata da un corale. L’organico è costituito da due flauti a becco, due viole da gamba e il continuo. Eppure un organico così esiguo è utilizzato con grande maestria di effetti contrappuntistici e timbrici. Ma non viene usato per intero che nella sonatina introduttiva, nel coro iniziale, nell’aria per tenore e nel corale finale. Per il resto, l’aria per basso è con due flauti e continuo, il corale con contralto con due viole da gamba e continuo, e gli altri brani tutti con il solo continuo.

La tonalità d’impianto è mi bemolle maggiore, ma l’armatura in chiave è di due bemolle, l’armatura di si bemolle maggiore. E si bemolle è B, l’iniziale di Bach. Se avessimo dubbi che nell’armatura Bach avesse insinuato un’allusione al proprio cognome, ecco che il tema esposto dai due flauti si estende dalla battuta 4 alla battuta 8, per cinque battute, e cinque è la somma dei numeri che compongono il nome Bach: 14. Ma cinque è anche il numero del cosmo, in quanto risultato della somma del cielo, 1, e della terra, 4. 1, poi, naturalmente, è il simbolo dell’unità di Dio. L’intera sonatina è composta da 20 battute: 4 volte 5, a ribadire il rapporto tra Dio e il mondo, che verrà subito chiarito dai testi e dalla musica della prima sezione corale che segue. Ma seguiamo l’avventura tonale della cantata. Il coro si apre in mi bemolle maggiore (ma l’armatura è sempre di si bemolle), ribadendo la tonalità dell’introduzione strumentale. Mi bemolle/Si bemolle è dunque la tonalità del tempo di Dio (o del rapporto tra Dio e Bach): il testo infatti dice “Gottes Zeit ist die allerbeste”, il tempo di Dio è il migliore di tutti. Il coro canta omofonicamente a suggerire ed affermare l’unità di Dio. La seconda sezione del coro resta in mi bemolle maggiore (sempre due bemolle in chiave), ma è polifonica, perché allude alla varierà della vita: “in Ihm leben, weben und sind wir”, in Lui noi viviamo, tessiamo e siamo”. La sezione conclusiva è in do minore (sempre con l’armatura di si bemolle) ed è di nuovo omofonica, perché fa il suo ingresso la morte, che ci congiunge a Dio: “in Ihm sterben wir zu rechter Zeit”, in Lui noi moriamo.

Segue l’aria per tenore, anch’essa in do minore: “Ach, Herr, lehre uns bedenken dass wir sterben müssen”, ah, Signore, insegnaci a pensare che dobbiamo morire. Sempre in do minore è l’aria per basso che segue: “Bestelle dein Haus”, metti a posto la tua casa. Subentra poi un coro polifonico in fa minore: “Es ist der alte Bund: Mensch, du musst sterben”, è l’antica alleanza: Uomo, tu devi morire. Il soprano solo, con un canto assai fiorito, invoca la venuta di Gesù. Il coro le si sovrappone: “du muss sterben”, devi morire, ma il soprano s’impenna in una lunga e fioritissima cadenza “pianissimo”: Ja, komm, Herr Jesu, Herr Jesu”, sì, vieni, Signore Gesù, Signore Gesù. Ed eccoci al nodo centrale della cantata, in si bemolle minore, un’aria per contralto e continuo: con le parole del salmista, si dice: “In deine Hände befehl’ ich meinen Geist”, nelle tue mani affido il mio spirito. Chi lo affida? Si bemolle, B: Bach.

Al contralto succede il basso, col solo continuo, ma in fa minore e da questo punto la cantata ripercorre a ritroso le tonalità toccate. Il testo evangelico dice: “Heute, heute wirts du mit mir”, oggi sarai con me. Alla terza battuta, le parole “mit mir”, con me, vengono intonate dalla successione fa si bemolle mi naturale do, che formano la figura sia della croce che della lettera greca X, Cristo, ma che lette non in successione, bensì unite appunto a chiasmo, X, formano la serie (è il caso di chiamarla così) fa-mi naturale, do si bemolle, il semitono fa-mi trasporta alla dominante il semitono si bemolle-la, B-A, al do, C, però succede un si bemolle, invece di un si naturale, e si ha quindi B-C, invece di C.H. Ma la cosa non deve sorprenderci: il semitono è alluso dal semitono fa-mi, che oltretutto nella solmisazione guidoniana, all’epoca di Bach ancora attiva, con la dizione mi-fa indica il rapporto di semitono, e B e C sono la prima e terza lettera del nome, 2+3, 5, esattamente come 5 è la somma di tutto il nome BACH: 2+1+3+8=14, che scomposto nelle sue cifre 1+4 dà 5.

La frase del basso si conclude con le parole “im Paradies sein”, sarai in paradiso, e dunque tutta la frase è: oggi tu sarai con me in Paradiso. A questo punto entrano le due viole da gamba e il contralto si sovrappone al basso con il corale “Mit Fried’ und Freud’ ich fahr’ dahin”, con pace e gioia io vado là. E si torna a do minore, e da qui, per i cori finali, a mi bemolle maggiore. Un perfetto viaggio armonico circolare, a simboleggiare il cerchio della nascita, della morte e della resurrezione nella gloria di Dio. Ma anche un traslato nel campo dell’armonia dei procedimenti del contrappunto, in questo caso dell’enunciazione cancrizzante di una figura, non importa se ritmica o melodica e, per Bach, addirittura armonica.

Questo è solo un esempio delle varie possibilità di lettura di una pagina bachiana. E siamo ancora rimasti alla superficie. Il lavoro sull’Arte della fuga richiederà strumenti ancora più affilati, soprattutto musicalmente affilati. E richiederà, inoltre, una certa familiarità anche con il resto dell’opera bachiana. Non si è cominciato a caso con un’opera giovanile (ma giovanili sono anche la Passacaglia in do minore e la Toccata e fuga in re minore per organo). Il modo di pensare la musica per Bach resta lo stesso, si evolve, si fa via via più astratto, ma resta essenzialmente lo stesso dai primi anni di Lüneburg e del primo soggiorno a Weimar agli ultimi anni di Lipsia. Esattamente come per Beethoven. E chi ha seguito quel corso, o letto le dispense relative, avrà visto che dalla giovanile Sonata in do minore op. 10 n. 1 agli ultimi quartetti il modo di pensare la musica per Beethoven resta lo stesso, come per Bach, che anzi fin dagli studi da ragazzo con Neefe (allievo, tra l’altro, di Bach) fu il suo modello mai abbandonato.

Tra l’altro, se la cantata è stata veramenete composta nel 1708, e Bach aveva dunque 23 anni, questo dato poteva essere un altro che lo incoraggiasse a scrivere una musica in cui si riflettesse la riflessione sulla propria natura mortale. Anzi, proprio i numerosi indizi che fanno ritenere che proprio di questo si tratta, e cioè di una riflessione sulla natura mortale dell’uomo, e dunque sull’eventualità della propria morte, se non immediata, comunque certa in un tempo o vicino o lontano, potrebbero far propendere a favore della datazione al 1708. Infatti 23, il numero dell’età del compositore, scomposto in 2+3, dà 5, come la somma del nome Bach, 1+4. E che Bach potesse averci pensato non è affatto strano per uno che ha aspettato a iscriversi alla società di Mizler per nove anni, dal 1738 al 1747, perché egli potesse entrare nella società come 14° membro. Inoltre ciò spiegherebbe anche l’ellissi che, nella cantata, fa comparire il nome solo con le note corrispondenti a si bemolle e do, B e C, 2 e 3, le cifre della sua età in quel momento. Sembra delirio: ma deliri simili pervadono i progetti architettonici del Borromini, le tele di Vermeer e di Rembrandt, le tesi fisiche di Newton, le elucubrazioni matematiche di Leibniz. E, in pieno rinascimento, le inquietanti visioni di Lorenzo Lotto.

Tutto ciò, è ovvio, non si può avventurare che per ipotesi. Ma è un ipotesi che coglie una natura segreta eppure reale della scrittura bachiana, come sarà un secolo dopo per Beethoven e due secoli dopo per Webern. Leggendo, suonando e ascoltando Bach, non dovremmo mai dimenticare che nella sua musica si trovano le radici della musica che venne dopo di lui. Così come in lui confluiscono le tradizioni polifoniche fiamminghe, il concerto italiano, mescolati alla nuova musica francese, ma attraverso i maestri fiamminghi anche la grande tradizione contrappuntistica di Frescobaldi, del quale, conosciuto sulle fonti dirette, non deve essergli rimasto estraneo lo sforzo di costruire una retorica musicale analoga ed equivalente a quella letteraria.

Insomma Bach si pone come punto di passaggio obbligato da un’epoca all’altra, sintesi delle epoche precedenti e di quella a lui contemporanea (Bach riunisce in sé la musica italiana, tedesca, inglese e francese) e fucina delle epoche future. Nessun musicista, come lui, è così carico di tradizione e di futuro. Forse il solo Beethoven, in ciò, gli somiglia. E, nel secolo appena terminato, Stravinsky. Non Schoenberg, né tanto meno Webern, troppo unilaterali nelle loro scelte linguistiche. Bach è invece un incredibile sperimentatore di combinazioni impensabili. Come per Stravinsky, la musica degli altri è per lui solo la materia per avventure conoscitive che nessuno avrebbe presupposto in quella musica. Ed è questo senso dell’avventura, che attraverso il suo insegnamento, tramanda alla musica europea. Prima di tutto ai suoi figli. Poi ai numerosi allievi che, spargendosi per mezza Europa, ne continuano l’infaticata ricerca. Un solo esempio: il maestro di Chopin, a Varsavia, Józef Ksawery Elsner, era allievo di un allievo di Bach.

(Gli appunti qui sopra pubblicati sono un’introduzione allo studio dell’Arte della fuga, che fu l’oggetto del mio ultimo corso di Storia della Musica, per il biennio, al Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia, nell’anno accademico 2005-2006).

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CAT: Musica classica

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