Chailly: «Così Toscanini ha cambiato il mestiere del direttore d’orchestra»

12 Marzo 2017

Simbolo stesso della direzione d’orchestra, protagonista musicale alla Scala e nel mondo da cui ormai è assente da sessant’anni, Arturo Toscanini non poteva essere ignorato nel suo 150esimo compleanno. Soprattutto dal teatro di cui è stato direttore musicale per ben tre mandati: ovviamente la Scala, che lo celebrerà il 25 marzo nel nome di Verdi e Beethoven. Sul podio Riccardo Chailly, che occupa a Milano e Lucerna le medesime posizioni che furono di Toscanini.

Maestro, ci aiuti a contestualizzare la celebrazione di Toscanini alla Scala.

«Si tratta di una figura imprescindibile per il nostro teatro, anche al di là della questione musicale. Quando arrivò nel 1901, Toscanini iniziò una vera e propria riforma: dall’illuminazione scenica, alla costruzione della buca d’orchestra. Ma si è occupato anche di tutto ciò che sta intorno a uno spettacolo: il buio in sala, l’intransigenza con i ritardatari e l’abolizione dei bis, nella convinzione che la totalità di uno spettacolo non vada mai interrotta, con una sensibilità straordinaria per quel tempo».

Come ha costruito il programma del concerto del 25 marzo?

«Ho pensato a Beethoven e Verdi, che insieme a Brahms e Wagner sono tra gli autori che più si collegano a Toscanini. Interessanti e significative le sue incisioni della Settima sinfonia: un modo atipico e rivoluzionario di interpretare Beethoven, sia nell’esecuzione con la New York Philharmonic del ’39, sia nel ciclo con la NBC Symphony Orchestra degli anni 50. Toscanini è stato il primo a tornare al testo scritto e ai metronomi di Beethoven, con un atteggiamento persino provocatorio. Penso alla piega nuova data al secondo movimento, l’Allegretto, tradizionalmente interpretato come una marcia funebre, ma eseguito da Toscanini con un andamento molto più scorrevole».

Può spiegarci in che senso Toscanini fu il primo direttore d’orchestra moderno?

«Penso che tutte le sue letture siano ancora attuali: non c’è nulla di decaduto, nulla che marchi il tempo in cui l’esecuzione è avvenuta. Ma la modernità di Toscanini sta soprattutto nel coraggio delle sue scelte interpretative. A questo si aggiunge la sua capacità di selezionare la musica contemporanea, se si pensa al fatto che ha diretto venticinque prime assolute di opere liriche, fra cui Pagliacci, Bohème, Fanciulla del West e Turandot. Oltre al carattere internazionale del suo repertorio: fu lui a portare Gershwin in Italia».

Anche se è nota la resistenza di Toscanini nei confronti di opere come Lulu o Wozzeck di Berg.

«Ovviamente ciascuno ha affinità o meno con alcuni autori. Nel caso di Berg si tratta di un linguaggio troppo lontano dal suo mondo. Però non dimentichiamo che Toscanini eseguì la Prima e la Settima sinfonia di Šostakovič, un autore con un linguaggio altrettanto scomodo per lui. Ed è apprezzabile il suo coraggio nel volerlo affrontare».

Quali sono i valori di Toscanini che lo rendono ancora oggi una fonte di ispirazione?

«Direi il rigore e la disciplina: due parole che hanno incorniciato la sua volontà non solo quando si dedicava alla musica, ma anche nel suo modo di essere. Poi bisogna parlare del suo senso patriottico, che va visto come convinzione profonda del valore dell’Italia e delle vette artistiche di quegli anni. Toscanini è sempre stato vicino alle novità e prospettive più importanti delle arti italiane, si pensi per esempio al suo rapporto con D’Annunzio».

Come si inserisce Toscanini all’interno della cosiddetta «tradizione italiana»?

«Ci sono casi per cui vale il detto di Erich Kleiber, secondo cui “la tradizione non è altro che il trionfo della routine e delle cattive abitudini”, come è scritto nel camerino del direttore al Teatro Colón. Si può attribuire questa frase anche a Toscanini che ha ripulito la tradizione da molte frange inutili. E anch’io condivido. A causa dell’età io non ho mai avuto la fortuna di ascoltarlo dal vivo, ma posso affermare che se oggi esiste il concetto di tradizione esecutiva legata a un autore è proprio grazie alla sua discografia. Parlando ad esempio di Puccini, è importante conoscere nel dettaglio la sua incisione di Bohème perché fu lui a dirigere la prima assoluta al Teatro Regio di Torino».

Ma mi sembra che a suo avviso sia comunque di un punto di partenza imprescindibile.

«Non c’è brano diretto da Toscanini che non abbia un’interpretazione profonda a partire dal testo scritto dall’autore. Eppure questo non vuol dire che ci deve essere una fedeltà assoluta al testo. Anzi, Toscanini interveniva spesso e penso che un grande interprete debba anche avere il coraggio di mettere mano alla partitura, per migliorare l’ascolto fonico e il bilanciamento delle dinamiche».

Sembra un paradosso: una modifica dell’interprete per avvicinarsi alla volontà dell’autore.

«Fortunatamente si è dato seguito a questa visione fino ad arrivare ai tempi nostri con Harnoncourt, il quale sosteneva che un interprete fedele all’autore deve avere il coraggio di intervenire con la propria mano. Non per alterare, ma per migliorare il risultato finale. E in questo io sono personalmente d’accordo. Quando sono uscite le edizioni critiche delle opere di Mozart della Bärenreiter, sempre Harnoncourt le riteneva un miracolo di bellezza e di chiarezza, augurandosi però che mai nessun direttore si convincesse di essere fedele per il fatto di eseguire una di quelle pagine. Un’edizione critica è un punto di partenza, non un punto di arrivo. E se in quest’affermazione c’è tutta la vita artistica di Harnoncourt, non si può non sentire un’eco della lezione di Toscanini, che io sento dentro di me come un comandamento artistico».

***

Oltre al Concerto del 25 marzo, il Teatro alla Scala ospiterà diverse iniziative per celebrare i 150 anni della nascita di Arturo Toscanini.

Si comincia il 14 marzo con la presentazione di una nuova edizione per Il Saggiatore delle lettere di Toscanini, a cura dello storico Harvey Sachs, e si prosegue il 21 marzo con una serie di eventi sostenuti dal gruppo Salini Impregilo (qui il calendario). In particolare, sono previste la presentazione di un libro edito da Rizzoli, a cura di Marco Capra, su “Toscanini, La vita e il mito di un maestro immortale” e l’inaugurazione di una mostra fotografica al Museo teatrale della Scala.

Dal 27 marzo ci si sposta negli Stati Uniti, seconda patria di Toscanini, con l’esibizione dei Cameristi della Scala e altre iniziative a Washington e New York.

 

 

TAG: Arturo Toscanini, teatro alla scala
CAT: Musica classica, Teatro

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