Come saranno i concerti post-Covid?
Una delle sensazioni più belle dei concerti, al chiuso, ma ancor più all’aperto, è quella di potersi sentire una cosa sola con chi ci sta accanto, cantare le stesse canzoni, vivere una stessa esperienza per una serata con gli artisti che più ci piacciono o che stiamo per scoprire.
“Live” è una dimensione della musica che esalta i pregi e i difetti di un gruppo o di un musicista, soprattutto i grandi concerti, negli stadi e nelle arene danno la misura di quanto può essere “catartica” l’esperienza. Fortunatamente abbiamo le testimonianze video dei più grandi eventi pop-rock della nostra epoca, diciamo pure che la musica popolare è diventata ancor più tale grazie agli spettacoli e alla loro riproduzione. Ascoltare i Doors dal vivo è davvero incredibile, la dimensione poetica e attoriale di Jim Morrison riesce a non sbiadire, rendendo spettacoli come quello all’Hollywood Bowl dei pezzi unici da conservare e tirare fuori ogni tanto, per ricordarci di quali vette abbia raggiunto il rock nei suoi primi anni di vita. Jimi Hendrix, i Cream, i Pink Floyd, gli Who, Bowie e i Rolling Stones, i Grateful Dead, i Metallica e i Nirvana, gli U2 e i Radiohead. Ognuna delle band appena citate ha avuto due facce della stessa medaglia, i dischi e i concerti, quelli grandi, da decine e decine di migliaia di spettatori.
Tutto ok fino al 2020. I concerti sono sempre stati come li abbiamo conosciuti, un sacco di gente, fiumi di birra, sudore e mani tese al cielo (o al soffitto nel caso di piccoli club come il CBGB’S dei Ramones). I promoter e le band hanno sempre cercato di migliorare la resa sonora degli amplificatori, la scenografia, i costumi, qualsiasi cosa. Poi è arrivato un virus, un piccolo virus e tutto si è fermato.
È vero, non c’è assembramento peggiore di quello dei concerti, ma è la loro natura, lo scopo per cui sono stati creati, amalgamare il pubblico facendolo gridare all’unisono il nome della propria canzone preferita.
Negli ultimi mesi si è parlato parecchio di come affrontare l’emergenza Covid-19 anche in campo musicale. Sembra impossibile mantenere una distanza simile a quella di prima, prima che nemmeno pensavamo fosse pensabile dover distanziarci socialmente da qualsiasi cosa, persino dai nostri amici.
Secondo alcuni siamo arrivati ad una grandissima incognita che nessuno era pronto ad affrontare. Ne ha parlato anche Paul Mc Guinness, storico manager degli U2, “impossibile, ora come ora, pensare a luoghi di 70mila persone piene per un concerto”, ha detto il quinto componente della band irlandese più famosa al mondo. E in effetti ha ragione. Oltre al problema organizzativo, riusciremo, mentalmente ad annullare nuovamente ogni distanza?
I concerti sono da sempre stati la parte promozionale e celebrativa del mondo della musica. Si fa gavetta suonando nei piccoli club, si ascende all’Olimpo riempendo Hyde Park o Slane Castle o arrivando in prima serata al festival di Glastonbury o Coachella. La Pandemia ha rimesso in gioco tutto. Molti dischi hanno avuto un’uscita dilazionata nel tempo, nella speranza che finisse prima l’emergenza, molti tour sono stati annullati, riprogrammati e cancellati di nuovo.
Brevi e sporadiche apparizioni in streaming non hanno alcun valore confrontati ai concerti, ci siamo accorti che la presenza, l’azione, la contemporaneità dei movimenti sono uno dei presupposti fondamentali dell’ascolto. (Lo avevamo dimenticato per via della Rete, dei formati digitali, ecc.). Manca l’energia, manca la presenza.
Negli USA; un sondaggio condotto dalla National Independent Venue Association ha rilevato che il 90% dei locali musicali indipendenti sarà costretto a chiudere definitivamente se non avrà aiuti ed incentivi da parte del governo. Provate ad immaginare l’indotto complessivo che verrà a mancare. Quanti posti di lavoro salteranno? E anche gli introiti derivanti da merchandising, alberghi, pub, e tutto ciò che è connesso con la vita notturna. Come per ogni ramo dell’economia, nessuno era pronto ad affrontare una crisi del genere.
Ci si è accorti improvvisamente che la distanza creata dalle esibizioni in tv non crea la stessa aspettativa e annulla la possibilità di empatizzare con i propri fan. Taylor Swift, ad esempio, ha pubblicato praticamente a sorpresa il suo nuovo album in estate, senza alcuna promozione, ma, in piccolo, è stato soltanto dopo la sua esibizione dal vivo agli Academy of Country Music Awards di settembre che ha acquisito nuovamente una “dimensione” emotiva.
Ora ci poniamo alcune domande. Quanto durerà questo periodo? E come potranno gli artisti, l’industria discografica ad ovviare alla mancanza del pubblico? In che modo potremo noi, pubblico, sciogliere le nostre esitazioni e poter di nuovo ritrovarci a saltare fino a far tremare uno stadio?
Io spero molto presto, teniamo da parte l’energia, ne servirà parecchia.
Un commento
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Fame articolo. Come saranno i concerti post-covid? È il titolo, risposta nessuna nessuna! Breve cronistoria asfittica, commentino banale e …risposta alla domanda in testata? Zero. Puah