Dieci dischi per finire bene l’inverno

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29 Febbraio 2016

Partiamo con qualcosa di forte, in grado di scaldare anche gli ultimi geli, i ghiaccioli più resistenti. Il nome della band basta a chiarire le intenzioni: sono i Fire!, magnifico trio svedese che abbina l’urlo free jazz alla potenza del punk-rock.

Ne fanno parte il sassofonista Mats Gustafsson (The Thing), il bassista Johan Berthling (anche nei Tape) e il batterista Andreas Werliin (Wildbirds & Peacedrums): se vi capita andateli a ascoltare dal vivo (anche nella versione espansa e travolgente della Fire! Orchestra), oppure lasciate che le fiamme del caminetto sonoro di queste ultime settimane d’inverno ardano al suono del loro recentissimo She Sleeps, She Sleeps (Rune Grammofon).

Scuro e tribale, tonitruante e viscerale, rabbioso ma anche scintillante di una sua perversa sensualità, è un disco che fa ancora arrabbiare vecchie zie e puristi del jazz e per questo ci piace parecchio.


Questa fine d’inverno segna anche il ritorno di Fatima Al Qadiri, con il disco Brute (Hyperdub). Il suo lavoro d’esordio l’aveva già segnalata come artista inquieta e interessantissima, in grado di proiettare molteplicità identitarie (kuwaitiana, nata in Senegal, cittadina americana…) in una miscela elettronica distopica e accelerazionista.

Brute evoca con analoghe strategie sonore uno scenario di forte impatto politico, di aperta denuncia della violenza poliziesca, costruendo una narrazione angosciosa e ipnotica, squarciata da episodi solo apparentemente più rasserenati come “Oubliette” o “Fragmentation”.  Notevole.

 

Atmosfere decisamente più distese e soulful sono quelle  di The James Hunter Six. Ormai maturo signore inglese dalla fantastica voce black, James Hunter approda con questo Hold On! (Daptone) alle seduzioni brooklyniane della Daptone.

Un disco di soul/funk come se ne facevano una volta, con più di qualche omaggio e citazione, un gran senso di nostalgia vintage ma anche un bel po’ di calore che ci fa già intravvedere qualche raggio primaverile. Difficile non lasciarsi ammaliare.

 

Ancora blues, con God Don’t Never Change – The Songs Of Blind Willie Johnson (Alligator Records), bel disco tributo a una delle figure più uniche e affascinanti della musica afroamericana, quella di Blind Willie Johnson.

Orfano di madre, accecato dalla matrigna con l’acido solforico quando era solo un bimbo, morto in povertà a nemmeno 50 anni, ci ha lasciato canzoni che vanno dritte al cuore e sono bravi i protagonisti di questo tributo (da Tom Waits a una splendida Sinead O’ Connor, da Lucinda Williams ai Blind Boys Of Alabama, dai Cowboy Junkies a Rickie Lee Jones) a mantenere freschezza e forza personali senza indulgere in inutili ammiccamenti. Dritto al cuore!

 

Scalda gli ultimi rigori della stagione fredda anche la violinista degli Arcade Fire, Sarah Neufeld, di cui segnaliamo il nuovissimo The Ridge (Paper Bag). Maestoso rock sostenuto dalla batteria del compagno di band Jeremy Gara (e da ospiti come Colin Stetson, qui a uno strumento vintage come il lyricon), epico e vagamente ossessivo, con la voce che si muove come un richiamo di sirena lontana, intrappolata tra le corde dello strumento. Ammaliante.

 

Bel ritorno anche per i Dining Rooms di Stefano Ghittoni e Cesare Malfatti, progetto che ha scritto alcune belle pagine della scena downtempo e nu-jazz italiana sin dagli anni Novanta. Il nuovo disco ha un titolo fantastico: Do Hipsters Love Sun (Ra)? (Schema Records) e si riconnette in modo quasi mesmerico con le sonorità astratte e cosmiche che sono l’humus che nutre questa musica.

Quattordici tracce con ospiti come Bruno Dorella dei Ronin/Bachi Da Pietra e Sacri Cuori, si occhieggia al futurismo vintage di certa library music italiana degli anni Settanta, ma con un calore che chi apprezza i Dining Rooms non tarda a riconoscere come un rassicurante punto di partenza.

 

Voci femminili per la fine dell’inverno parte prima: quella della deliziosa Josephine Foster, di cui consigliamo l’appena uscito No More Lamps In the Morning (Fire Records), in cui rilegge alcune sue canzoni del passato, riprendendo versi di Kipling o Joyce, piacevolmente fuori dal tempo, sospesa tra folk e lied, accompagnata solo da chitarra e violoncello.  Sempre ipnotica, provatela!

https://josephinefostermusic.bandcamp.com/album/no-more-lamps-in-the-morning

 

Voci femminili per la fine dell’inverno parte seconda: è quella indie/rock di Eleanor Friedberger dei Fiery Furnaces.  Il suo nuovo lavoro si chiama New View (French Kiss) ed è una sincera cavalcata cantautoriale senza pretese di grande novità, ma alla ricerca sempre di una piccola, quanto indispensabile, bellezza.

 

Se poi quest’inverno non siete riusciti mai a staccare la spina e avete sognato mete esotiche, questa segnalazione fa decisamente per voi: è la raccolta Soul Sok Séga – Séga Sound From Mauritius 1973-1979 (Strut Records) che ci trasporta alle Mauritius per conoscere il tradizionale stile musicale di quelle isole dell’Oceano Indiano.

Musica che porta il segno della storia e dei ritmi degli schiavi africani, che si è evoluta, a partire dagli anni Sessanta e dall’elettrificazione degli strumenti, in una versione superfunky e francamente irresistibile di quelle tradizioni popolari. Contagioso!

 

Chiudiamo con il cantautore di Seattle Damien Jurado (il grande pubblico italiano l’ha conosciuto, un po’ tardivamente, grazie alla colonna sonora de La grande bellezza di Sorrentino) e con il suo nuovissimo Visions of Us on the Land (Secretly Canadian), come sempre personale e intimo nel suo incedere onirico. Poi basta un battito di ciglia e sarà già primavera…

 

 

 

 

 

 

TAG: dischi, elettronica, pop, songwriter
CAT: Musica

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