I romantici anni del punk anarchico inglese
C’è stato un tempo, nell’Inghilterra devastata dal collasso industriale di fine anni 70, in cui la musica punk, nata come grido della classe operaia, ma intriso ancora del sarcasmo della scena prog nata con Robert Fripp 15 anni prima, è diventata anche atto politico. La musica di queste nuove band non era come quella (commerciale) dei Sex Pistols, ma era un grido strozzato e disperato registrato in presa diretta e venduto su cassette – nessuno aveva i soldi per fare dei dischi.
Quella generazione è rimasta nella memoria grazie a due moderatori della radio, John Peel e Garry Bushell: entrambi accettavano cassette di bands conosciute e le trasmettevano alla BBC, dando loro la possibilità di entrare in un circuito europeo, che è esistito fino alla fine del secolo scorso, di locali pieni fino al tracollo di un pubblico appassionato e squattrinato, in cui le band ricevevano poche decine di marchi, di sterline, e poi di euro, dormivano per terra nel locale ed avevano cena e colazione pagata. Ricordo con nostalgia struggente i concerti di Striknien DC al LiWi di Lipsia, generoso twist-core nordirlandese, suonato da energumeni con capigliature da vichinghi, e cantati da una ragazzina con la voce di Edith Piaf e la rabbia di un pugile nero di inizio Novecento.
Queste bands non dovevano venire da Londra – non era necessario appartenere ad un giro influente o trendy. Ognuno registrava a casa propria, inseriva gratuitamente sui giornaletti ciclostilati che venivano distribuiti nelle scuole, e poi ti inviavano la cassetta in cambio di 5 sterline più spese postali. Come è ovvio che fosse, le bands nascevano e morivano in pochi mesi, ed i musicisti cambiavano formazione quasi continuamente.
Lou Watts l’ho conosciuta nell’estate del 1978 in un concerto in una cantina bolognese, una volta che, poco dopo aver finito il liceo, insieme ad Antonio avevo preso il treno per andare a visitare la sua famiglia a Rimini, e i suoi zii mi scacciarono perché avevo baciato la loro figlia Donatella. Avevo un sacco a pelo pieno di sabbia, un biglietto di ritorno pagato e 6500 lire per qualunque altra cosa. Non ero mai stato a Bologna, ed ho semplicemente seguito quelli vestiti sdruciti che, la sera, giravano tutti insieme. Lou l’ho conosciuta perché parlo inglese, e quella notte abbiamo entrambi dormito per terra, in una puzza intollerabile di birra e chissà cos’altro.
Non ricordo il nome della band, e non mi erano piaciuti. Glielo avevo detto: Se volete suonare il folk, non c’è bisogno che facciate tanto casino e suoniate così male. Daniele mi è testimone, ero un ragazzino piccolo borghese per il quale Frank Zappa era il confine della realtà ed il punk un rumore incomprensibile. Lou mi spiegò che, per avere un senso di esistere, bisognava cantare di femminismo, dei gay, della disoccupazione, dell’anarchia. Poi l’ho dimenticata, l’ennesimo aneddoto di una cavalcata superficiale sull’onda degli anni della mia stupenda gioventù.
Quasi vent’anni dopo, nella tarda primavera del 1997, il Museumskeller di Erfurt aveva scelto una band semisconosciuta di Leeds, chiamata Chumbawamba, che Reiner ed Achim avevano sentito alla radio e ne erano entusiasti. In quegli anni, rincorrendo il fantasma di una donna e la mia perpetua follia, facevo avanti e indietro tra Zurigo e la Turingia, e quando ero a Erfurt andavo a tutti i concerti possibili. Durante il sound-check ho riconosciuto Lou. Non l’ho nemmeno salutata, non volevo fare figuracce penose, ma ho pensato con raccapriccio che Achim e Reiner stavolta si erano sbagliati, perché il pubblico di Erfurt mai e poi mai avrebbe applaudito una band di anarchici fracassoni e stonati.
Ma 18 anni sono un periodo lunghissimo. La nuova band di Lou ce l’aveva fatta – a mettere insieme il sarcasmo del punk delle origini, la rabbia dei ghetti dell’Inghilterra industriale e la musica, tra il folk ed il prog, che nel secolo scorso ha reso l’Inghilterra un posto unico al mondo. Ricordo che, quando hanno suonato per terza volta “Tumbthumping”, saltavamo tutti come pazzi. In gergo punk, tumbthumper è un politico corrotto che ottiene il licenziamento degli operai per sostenere la piazza finanziaria. Il brano è famosissimo, e credo nessuno abbia mai ascoltato il testo, rozzo e violento. Lou, nel microfono, ha spiegato: “Le bombe dell’anarchia non hanno aiutato, ma ci hanno resi schiavi della repressione borghese. Il sarcasmo e la contumelia sono l’unica arma che ci resta in mano”.
Bei tempi andati. Secondo me, se cantasse oggi quelle cose lì, nessun ragazzino capirebbe cosa diavolo sta dicendo quella nonna invecchiata male.
Nessun commento
Devi fare per commentare, è semplice e veloce.