Il lungo addio del Rock ‘n’ Roll

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19 Maggio 2017

«How would I know
That this could be my fate?»

Leggo delle sue quattro ottave e mezza di estensione vocale («una follia della biologia e della genetica», praticamente un freak, secondo Giulia Pompili del «Foglio») e mi sembra l’unica considerazione strettamente musicale su Chris Cornell che si possa trovare sulla stampa generalista. Il resto è pura enumerazione delle tante rockstar morte male. Belli, bravi e maledetti. Un cliché fastidioso? Forse. Certo Chris Cornell non era Bowie. Non aveva inventato nulla, era un manierista dalla splendida voce, nei Soundgarden, negli Audioslave e in una manciata di album solisti non sempre memorabili, sicuro solo nel territorio classico del rock ‘n’ roll cristallizzatosi negli anni Settanta. E dunque di cosa mai potranno parlare i coccodrillisti dei giornaloni e dei giornalini nazionali? Resta quell’inquietudine, quella frustrazione, quel male di vivere – chiamatelo come volete – che in certi casi è posa, in altri bestia addomesticata e in altri ancora ti ammazza. Senza dubbio, una delle pietre angolari del rock ‘n’ roll. Un disagio come motore dell’ispirazione che è passato un po’ di moda, diciamolo, perché oggi il rock non è più il megafono di niente, è diventato piccino e ora occupa una nicchia tra le tante. Come i giudizi universali nelle chiese e nei battisteri medievali (che erano fonte di terrore autentico per i contemporanei) oggi sono ridotti ad asset del turismo culturale, così il rock ha perso qualunque carica destabilizzante, non spaventa più nessuno, è un prodotto tra i tanti dell’industria culturale, il cui consumo è segno ormai di appartenenza ricercata, come le cene vegan e i libri di Carrère, ma senza alcun senso di novità, quindi relegato alla categoria del vintage. Qualcosa di cui i media si possono ricordare giusto al momento del coccodrillo. RIP.

TAG: chris cornell, Rock
CAT: Musica

Un commento

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  1. federico-preziosi 7 anni fa

    Personalmente considero la retorica dei media è un vizio antico. Se Chris Cornell si fosse ucciso 15 anni prima, forse le cose sarebbero diverse, anche le considerazioni che leggo qui sopra. Ma a chi serve tutto questo? Lo stesso Cobain era un’icona, un paradigma sociologico se vogliamo. È tutto un genere (movimento), quello grunge, ad essere nato e cresciuto sotto questi auspici nefasti, un “prodotto” nato nelle cantine e pompato dai media. Con l’aggravante che questi erano maledetti per davvero, non era una parvenza. Il grunge ha rappresentato l’ultima vera ondata rock, dopo ci sono state cose buone, ma isolate, mai ricongiunto nemmeno dalla stampa sotto il nome di un grande movimento. Le innovazioni non sono mancate (cito i Radiohead su tutti), ma il sentire del grunge, quello in ambito rock non è stato mai più riprodotto. Credevo che i reduci del Grunge oggi facessero solo testimonianza, invece chissà se quei pochissimi rimasti arriveranno alla fine morendo di morte naturale e non andandosene con una pera, un colpo sparato in bocca o impiccandosi. Che andarsene così sia un modo per mantenere vivo il messaggio, quel destabilizzare di cui abbiamo disperatamente bisogno per sopravvivere?

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