John Frusciante è tornato nel gruppo

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16 Dicembre 2019

John Frusciante uscì per la prima volta dal gruppo nel 1992. Per i Red Hot Chili Peppers fu un colpo abbastanza basso da rimanere a bocca aperta. Nessuno se lo aspettava, ora che finalmente la band americana era arrivata sul tetto del mondo, soprattutto dopo la morte di Hillel Slovak, che aveva lasciato un vuoto enorme e che era stato rimpiazzato nel migliore dei modi da un giovane ventenne che a suon di riff e palcoscenici era entrato nei cuori dei fans che da subito venne osannato tanto quanto il suo predecessore e forse anche di più. John non solo era bravissimo, ma riusciva a ricoprire un ruolo difficile come quello di sostituire il membro di una band di cui era a sua volta fan e di cui innegabilmente era figlio d’arte.
Non si sentiva più parte di una band che si trovava ad affrontare la più grande sfida con la celebrità sfilando nei più importanti salotti televisivi, si presentava irriconoscibile nelle serate di gala e riusciva, strafatto, a rimediare qualche applauso suonando Under The Bridge in una condizione che nessun chitarrista al mondo gli avrebbe invidiato, ciondolante e con lo sguardo perso nel vuoto, con la sua stratocaster sempre più logora e distrutta, vittima anch’essa di una vita destinata a durare ben poco.

John si chiuse in un mondo esclusivamente suo per 5 lunghissimi anni. Aveva perso tutto e si era ridotto a vivere in un appartamento che sembrava più un ritrovo per tossici ed alcolizzati, dove tuttavia riuscì a registrare il suo primo album, Niandra LaDes and Usually Just a T-Shirt, con una chitarra acustica, un mixer e una tastiera, alternando schizofrenici abbozzi di canzone a primi tentativi psichedelici — e psicotropi -, di portare a casa una prima fatica discografica destinata a diventare un cult nel cuore dei suoi estimatori ma un prodotto decisamente al di sotto delle sue possibilità artistiche e umane. Pochi anni dopo — 1997-, in un baratro ancor più oscuro uscì Smile from the Streets You Hold, un disco decisamente testamentario, fatto di grida, urli, dipinti vocali e disarmonici di un uomo distrutto dagli stupefacenti e dalla depressione, deliri di chi non riesce a liberarsi del male e piange la sua condizione allarmando tutti coloro che gli volevano bene con l’unico mezzo che aveva a disposizione: la musica. Frusciante, tra i Peppers, è l’unico ad avere una buonissima educazione, si era laureato all’accademia della musica e non aveva mai negato di ispirarsi a Jimi Hendrix ed Hillel Slovak quali padrini da imitare e, nel caso di Hillel, superare.

Personalmente ho vissuto il momento terribile della prima dipartita di John Frusciante, del suo viaggio nel mondo dell’eroina, dei suoi dischi strampalati, e il ricordo di Hillel Slovak– sebbene io non l’abbia vissuto in prima persona – era fortissimo, sia tra coloro che rimpiangevano i primi dischi e il video di Fight Like a Brave, sia tra coloro che di Frusciante avevano apprezzato il fatto di essere l’unico e il solo chitarrista al mondo degno di suonare dopo Hillel, di copiarlo, di superarlo e talvolta eclissarlo con la sua abilità evocativa appartenente a protagonisti delle sei corde di altri tempi e di altri dischi in vinile. Il fatto che Frusciante sia morto e risorto è corrisposto alla storia dei Red Hot, che con Dave Navarro divennero praticamente invisibili.

Nel 1999 John aveva le braccia diventate un colabrodo per colpa dell’eroina. E Flea, Anthony, Chad lo salvarono dal perderne almeno una. Una storia forse romanzata che Kiedis racconta nella sua autobiografia Scar Tissue.
Da quel momento, per dieci anni, Frusciante torna ad essere il chitarrista dei Red Hot, sforna dischi credibili ed incredibili, vive un momento di creatività sublime che lo porta a registrare qua e là con band improvvisate, Omar Rodriguez Lopez e Josh Klinghoffer, che parte in tour con il gruppo suonando anche al Live Earth, poco più in là di John, a due metri di distanza con un bel po’ di energia nelle gambe e nelle dita e la stessa Fender stratocaster sottomano.
Poi John se ne va di nuovo, questa volta senza il problema delle droghe, rapito dal mondo dell’elettronica. Si è perso in un mondo strano, fatto di sintetizzatori e strumenti elettronici altamente sofisticati. Insomma, è stato felicemente impegnato in un nuovo limbo per almeno 10 anni, periodo in cui ha anche pubblicato alcuni dischi interessanti, come Empyrean (un concept album che parla di “dio” che inizia con la splendida strumentale Before The Beginning e prosegue con la cover, eseguita in modo magistrale, di Song To The Siren) – che personalmente reputo uno dei suoi migliori – e in cui ha regalato tantissima musica inedita ai propri fans. È stato sicuramente dignitoso per lui, sentirsi sereno e realizzato tra le sue note, che nel loro alternarsi, vivace e inatteso hanno la stessa irriverenza contagiosa dei salmi di dio, e che raccontano, con distensione e poesia, la difficile conseguenza dell’esistenza umana.
Il preambolo è quasi finito, perché i Red Hot si trovano a dover cercare un chitarrista che sostituisca John Frusciante. Di nuovo. Ci siamo capiti bene, John Frusciante.

Ci sono migliaia di session man capaci di fare cose stupende al mondo, possono farle su disco, nascosti dietro un ampli in un concerto, ma nessuno potrebbe avere il ruolo di John, per capirci, è come se gli Stones si trovassero a sostituire nemmeno Keith Richards, ma Mick Jagger, proprio non si può immaginare.
Invece nel 2011 esce I’m with you, un disco dal design e dalla grafica minimale, asettico, in certi casi, proprio superfluo, prodotto da Rick Rubin. Leggi nel layout del libretto il nome di Josh. Un cognome stranissimo, come tutti quelli dei nuovi chitarristi dei Peppers. Era la scelta più indicata, sostenne poi Kiedis in giro per il mondo. E Klinghoffer non è Frusciante, ma la cosa che apprezzo di più di lui è che nonostante sia amico di John, ne abbia condiviso la vita quantomeno musicale e artistica, non cerchi assolutamente di farne una copia carbone. Il problema – forse – è che I’m with you è un disco così anonimo che non si sente minimamente la presenza di un chitarrista, cosa che non era capitata almeno dagli anni ’80 in un disco dei Red Hot. Dal vivo Josh ha la sua personalità, le sue movenze e il suo modo di suonare, contemporaneo, indifferente alle mode, poco retrospettivo sia nei brani che nell’apparire, con quelle maglie larghe, lo sguardo attento ma composto, i pantaloni a vita bassa di una tuta extralarge.
Josh Klinghoffer suona per 5 anni con i Peppers e registra con loro il nuovo disco che si intitola The Getaway, va in tour con loro e culmina la sua presenza con un memorabile concerto in Egitto sotto le piramidi dove ripropone, al piano, un pezzo dei Radiohead da brivido. Nel frattempo Frusciante fa musica per il piacere di farla, collabora, suona con altri artisti, sperimenta, è felice.

Non è stato difficile, in questi 10 lunghi anni immaginarsi John seduto sul proprio tappeto ad improvvisare canzoni e nuovi ritmi da seguire, quello che lo contraddistingue è la curiosità verso qualsiasi tipo di suono e pubblico, dai palchi dei più grandi festival rock a quelli più raffinati e spocchiosi delle consolle dei dj.
E ora cosa succede? Siamo al 16 dicembre 2019, I Red Hot Chili Peppers annunciano che John Frusciante è tornato nel gruppo. Non sappiamo quello che succederà, se la band ha già registrato nuova musica, se John ha intenzione di portare la sua esperienza nel mondo dell’elettronica a servizio dei Red Hot. Quello che sappiamo è che John Frusciante non avrebbe mai scelto di tornare solo per soldi. I Red Hot Chili Peppers sono cresciuti grazie a lui e lui – nonostante Hillel Slovak – li ha sempre rappresentati al meglio. Questo è un regalo di Natale inatteso e bellissimo.
Bentornato John.

TAG: John Frusciate, red hot chili peppers, Rock
CAT: Musica

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