La musica bisestile. Giorno 1. Genesis
Sul palco alberi ovunque, di mille colori, che improvvisamente si muovono, suonano cantano. Sono i Genesis. Ho solo 15 anni, e nel volgere di cinque minuti sono innamorato, per sempre
SELLING ENGLAND BY THE POUND
La vanità non finisce mai, nemmeno con l’imbrunire dell’età. Un’amica mi chiede di consigliarle dieci album di musica che possano raccontare l’essenziale degli ultimi 70 anni, ed io mi metto a scegliere 366 dischi fondamentali – quelli che bisogna avere per poter giustificare la propria esistenza il giorno del Giudizio Universale, sapendo che non avrò la fortuna di Roberto Benigni che, fingendosi Karl Marx, otterrà un posto da portinaio del Paradiso. Eccoveli.
Roma, martedì 5 febbraio 1974. Antonio ed io andiamo a vedere un concerto al Palazzo dello Sport. I biglietti non li abbiamo comprati noi, ma non so più chi li avesse regalati, anche perché Antonio avrebbe voluto andarci con Titti, la sua fidanzata di allora. Hanno litigato per chissà cosa. Mi scapicollo, inventando una balla per mio padre su come avrei passato la serata, ed andiamo in due sul suo motorino. Non sapevo nemmeno chi suonasse, era un nome mai sentito prima. Una volta seduti, vedo che il palco è coperto da dei teli di plastica, come se avessero paura che piova dentro. Sotto quei teli qualcuno sta trafficando febbrilmente. Poche file più avanti vedo uno che va a scuola con me, ma in un’altra classe. Mi grida che io fossi l’ultima persona di scuola che lui credeva di poter incontrare proprio qui. Inizio ad essere nervoso, Antonio mi sfotte: Vedrai, secondo me ti piacciono.
Buio, scompaiono i teli. Il palco è coperto da diversi alberi, ma si vede la batteria. Altrimenti alberi dappertutto, certamente finti, che con le luci stroboscopiche sono blu, arancioni, verdi, rosa, e intanto sento l’eccitazione di tutti, che cresce. Sale sul palco un tizio in canottiera, che si siede alla batteria, ci siamo. Note di organo elettrico, chissà da dove. Dall’albero esce un uccello immane, si vedono solo gli occhi enormi, bianchi. “Watcher of the skies, watcher of all!”, grida. Sono fulminato. Antonio ghigna: “Il bassista è fuori tempo”. Forse, ma suonano roba difficilissima, e sono meravigliosi, non ho mai sentito nulla del genere, mai. La canzone, lunghissima, finisce in crescendo, applausi, delirio. Silenzio. Gli strumenti tacciono. Gli applausi scemano. “Can you tell me where my country lies?” Sono sgomento. Ho appena conosciuto la più grande band di tutta la mia vita. Ho appena ascoltato Peter Gabriel cantare (allora sepolto sotto una cascata di capelli…). Ho scoperto i Genesis, e li vedo per la prima ed ultima volta dal vivo, a 50 metri da me.
Sono commosso, eccitato, stravolto. Antonio ora è in piedi e strilla. Suonano quasi due ore, alla fine sono stremato, non ho voglia di tornare a casa, voglio solo che non finisca mai. La musica mi ha avvolto in un sudario di passione, una cosa che ti prende alla gola e non ti fa respirare, un deliquio, come in un pazzo volo da rapace ubriaco, un’ossessione meravigliosa e che mi dice: questo. Questo è quello che bisogna saper suonare. E da allora partirò per una spedizione eterna ed infinita in cui scoprirò tutta la musica per cui ringrazio Dio di avermi fatto nascere in Europa alla fine degli anni 50. L’album, “Selling England by the pound”, credo sia uscito in Italia a fine gennaio, in un’edizione molto bella e costosa, con i testi e la traduzione di Armando Gallo. Sicché nel pomeriggio di venerdì 25 febbraio 1974, 44 anni fa, sono entrato da Discoland, a Via Baldo degli Ubaldi, ed ho comprato l’album per 3000 lire, ed ho inziato a divenire la persona che sono oggi. Per questo, il lungo cammino di questo anno bisestile di dischi, comincia da qui.
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