La musica bisestile. Giorno 208. Sonny Rollins

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17 Dicembre 2018

Insieme a Gerry Mulligan ed a Charlie Parker, a mio parere, è il più grande eroe del jazz, anche se forse è meno famoso degli altri due. Per questo vale la pena scoprirlo

SAXOPHONE COLOSSUS

 

A quei tempi le cose andavano così. Era il 22 giugno del 1956, e Sonny Rollins aveva un appuntamento nello studio di Rudy Van Gelder insieme ai musicisti con cui girava allora: Tommy Flanagan al piano, Doug Watkins al contrabbasso e Max Roach alla batteria. Rudy gli disse: facciamo cose un po’ insolite, magari anche roba delle tue isole – perché Sonny era nato nelle Isole Vergini, e nelle sue dita, quando suonava il sax, scorreva di tutto, tanto che quando compì 20 anni, Miles Davis, che lo aveva visto improvvisare in un bar, gli offrì un contratto e cominciò a fare delle serate speciali con lui.

“Saxophone Colossus”, 1956

Davis ha sempre detto che Sonny sarebbe stato il più grande di sempre, se avesse avuto più stima in sé stesso, e non avesse impiegato tanta energia per suonare come Charlie Parker, o come John Coltrane, o come Lester Young. Per questo Rudy gli organizzò quella specie di trappola. Quando arrivarono in studio. Sonny aveva solo alcuni appunti relativi alla sequenza di assoli, ed i quattro musicisti non avevano mai provato prima – non quei pezzi.

Anche perché Rudy impose la registrazione di due brani originali di Sonny Rollins, tra cui “St. Thomas, che originariamente era addirittura un calypso, scritto metà per scherzo e metà sul serio – e dopo quel 22 giugno divenne uno dei brani più famosi della storia del jazz. All’ora di cena il quartetto aveva registrato alcuni pezzi, cinque dei quali vennero scelti da Rudy e dal management della Prestige, che in capo a pochi giorni portarono il disco nei negozi e Sonny Rollins in tour. Sia come sia, questo disco è tuttora considerato non solo come il capolavoro di Rollins (che oramai, a 88 anni, non suona più), ma uno degli album che abbia avuto la più grande influenza nella storia del jazz.

Perché Sonny riesce ad essere calmo anche quando suona svelto, rotondo anche nelle più pazze improvvisazioni, non commette mai errori tecnici (niente fischi o acciacchi di tasto) e riesce a dare una malinconia tranquilla a qualunque brano, cosa per la quale Charlie Parker diceva di lui che fosse l’unico al mondo ad avere veramente il blues. Io l’ho scoperto di notte, alla radio, commuovendomi come un bambino, quando non avevo ancora 17 anni. Ho dato la caccia a lungo a questo vinile, che costa però troppissimo, e quindi sono stato costretto ad accontentarmi di un CD, che non riporta nulla della ruvida realtà di quel giorno incantato in quella sala di incisione, Fate lo stesso. Si ascolta da soli, in silenzio, pensando a nulla, tenendo la mente ed il cuore sgombri, perché Sonny ha bisogno di tanto, tanto spazio.

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CAT: Musica

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