La musica bisestile. Giorno 347. The Offspring

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25 Febbraio 2019

Si può scivolare dall’hardcore al pop? Si può, inseguendo il successo, il sound dei Green Day e sperando che la gente trovi i testi sarcastici anche divertenti

AMERICANA

 

Io non capisco la musica hardcore. Ne ascolto di tanto in tanto, apprezzando spesso i testi, capisco il rifiuto delle melodie, sono in grado di riconoscere musicisti di grande tecnica che suonano qualcosa di molto più vicino al jazz che al punk. Quando abitavo ad Erfurt ed a Lipsia ne ho fatto una gran scorpacciata, perché a Connewitz quasi non si ascoltava altro, e nella capitale della Turingia esisteva una simpaticissima cerchia di musicisti hardcore, che comunque, lentamente, è scivolata verso altre forme musicali, dal country al jazz, dal folk alla musica elettronica, perché i musicisti si evolvono, e non possono suonare per sempre le stesse cose senza annoiarsi, loro per primi.

“Americana”, 1998

La casa discografica che ci riforniva della maggior parte dei nuovi dischi era la Epitah, che insieme alla tedesca BluNoise aveva sotto contratto tantissime band che, provenendo dall’hardcore, costruivano nuove sonorità, dure, ma più simili alla musica del deserto americano (Kyuss, Queens of the Stone Age) che all’hardcore europeo, sia quello morbido (Germania, Francia) che quello più vicino al gangsta rap o al jazz (Italia, Spagna) che quello bestiale e sconvolgente che veniva dai paesi scandinavi. Tra i tanti dischi arrivò anche “Smash” degli Offspring, che era una cosa strana, percettibilmente americana, a metà strada tra il rock banale dei Rammstein e le sonorità più punk, come quelle dei Green Day.

La canzone “The kids aren’t alright” era una contrapposizione ad un famoso brano di The Who. Tant’è. La cosa fastidiosa era, già allora, il fatto che il cantante strillasse in un’ottava troppo alta rispetto alle proprie capacità vocali, il che appiattiva significativamente i brani, perché la band non può usare i salti di tono per aggiungere dinamica ai pezzi. Anzi, come se si trattasse di una rilettura sgraziata dei Nirvana, il miagolio del cantante serve appunto per accorciare sistematicamente lo spazio armonico di una band. La chiave del successo americano degli Offspring è che cantano in modo espliciti di seri problemi sociali del loro paese, in una prospettiva lontana dalla voce ufficiale del potere politico, ma anche da quella del sottobosco violento delle gang locali, trasmette ansia, preoccupazione, ma anche sarcasmo ed una sorta di snobismo che piace, perché sfotte coloro che usano continuamente la violenza fisica, e nella vita quotidiana, in un inferno come quello americano, non viene più nemmeno affrontata.

Anche brani apparentemente sciocchi, come quello sulle ragazze nere che non vedono l’ora di fare sesso con i bianchi, sono un’iperbole della realtà in cui le gang dei neri e dei latinos affermano una sessualità brutale ed esclusiva, facendo passare la violenza come il tratto distintivo della mascolinità. Il disco che vi propongo è quello più famoso, registrato prima che il successo mondiale trasformasse The Offspring, purtroppo, in un prodotto plastificato e ripetitivo. Oltretutto, oggi, a distanza di 20 anni, la voce alta di Dexter Holland è diventata uno squittio rauco e difficile da prendere sul serio.

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