La musica bisestile. Giorno 348. Joe Jackson

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25 Febbraio 2019

Uno dei compositori di ballate jazz più talentuoso dopo Cole Porter e Nat King Cole alla fine del suo periodo newyorkese, prima di stabilirsi definitivamente a Berlino

NIGHT AND DAY

 

Nella storia del pop, pochi erano veri polistrumentisti, pochi hanno composto a tavolino, con il pentagramma davanti, pochi hanno redatto gli spartiti per ogni componente della band, prima di arrivare in sala di registrazione, come ha fatto David Jackson, soprannominato, sin da adolescente, “Joe”, perché assomigliava ad una delle figure di Snoopy dei Peanuts, Joe Piano, il bracchetto che guida una band di uccellini, il cui capo si chiama “Woodstock”. Difatti Joe, nonostante l’aspetto da contabile di una birreria clandestina della Chicago di Al Capone, è un artista allegro, giocoso, sul palco saltella e si divincola, scherza, e spesso dal vivo esagera aumentando di molto la velocità delle sue canzoni.

“Night and day”, 1982

Canzoni che sono pop misto a jazz, e che hanno il sapore dell’America delle grandi orchestre alla Benny Goodman, o dei piccoli club pieni di fumo in cui generazioni di europei, e non solo di americani, hanno imparato ad amare quella musica. Ha cominciato con il violino, poi ha studiato piano e composizione, poi sassofono, altri strumenti li ha imparati per strada, semplicemente suonandoli. Arriva al successo tardi, a 34 anni, seguendo la scia new wave di Graham Parker e di Elvis Costello, opponendosi a coloro che, come Gary Numan e Howard Jones, investivano tutto sull’elettronica. Nei dischi di Joe le tastiere sono un pianoforte, niente giochetti. Parallelamente, oltretutto, Joe Jackson ha avuto per anni una seconda band (i Jumpin’ Jive) che faceva cover di Glenn Miller, Count Basie, Cole Porter, Cab Calloway, Lester Young ed altri.

Joe “Piano” Falchetto ed i Woodstocks

Erano gli anni migliori, a metà degli anni 80, quando Jackson ha pubblicato questo “Night and day”, che è stato il disco che lo ha portato al successo commerciale mondiale. Un successo che gli è servito, principalmente, per mettere da parte i soldi per i suoi veri progetti, che hanno iniziato ad uscire dopo il 2000: dei dischi di musica classica originale (seguendo quindi le regole della sinfonia) ma registrati con una band a metà strada tra pop e jazz, solo puntualmente sostenuta dagli archi e dai fiati. Personalmente trovo quei dischi (come tutta la produzione di Philip Glass, che ha compiuto un’operazione analoga) fatica sprecata, noia mortale, banalità pomposa. Anche nella vita privata, una volta guadagnato abbastanza, Joe Jackson si è ritirato. Dopo gli anni passati a New York, lentamente si è ritirato in Europa, ed ora vive a Berlino, dove continua a lavorare, e dove può capitare di andare in qualche “Kneipe” di lusso, in cui ci sia un buon piano, e vederlo strimpellare i vecchi standard jazz, senza cantare, e rifiutando qualunque contatto, anche solo verbale, con gli altri esseri umani.

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CAT: Musica

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