La musica bisestile. Giorno 360. Art Blakey

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3 Marzo 2019

Partendo dall’esperinza di Buddy Rich e Max Roach, il decano dei batteristi d’anteguerra crea l’orchestra che scoprirà l’hard bop e cambierà per sempre la storia del jazz

ART BLAKEY AND THE JAZZ MESSENGERS

 

Nato 101 anni fa, Art ha iniziato come batterista jazz “classico”, e già a 20 anni suonava con Fletcher Anderson, che a quei tempi era uno dei giganti d’America. Ha iniziato a divenire importante con la nascita del bebop, di cui lui, Buddy Rich e Max Roach sono stati i grandi interpreti, quelli che hanno dato nuove regole ai drummers ed hanno iniziato davvero ad accordare i loro tamburi secondo la chiave principale del sound della band. Pochi lo sanno, ma la batteria deve osservare le note esattamente come qualunque altro strumento del gruppo, e quando un artista ha uno spartito in noni, e con abbondanza di semibiscrome, alcune suonate ed altre di pausa, c’è da diventare pazzi, e bisogna avere una resistenza fisica fenomenale.

“Art Blakey and the Jazz Messengers”, 1956

Art Blakey era considerato il drummer più maturo del bebop, forse anche perché era il più anziano. In ogni caso, dopo la Seconda Guerra Mondiale, iniziò a divenire importante anche come arrangiatore e mise insieme diverse orchestre, tutte con lo stesso nome: i Jazz Messengers. Che, a partire dal 1954, divennero gli inventori dell’hard bop – ovvero di un bebop più complesso ed arzigogolato, spesso più veloce. Il fatto che Art sia il migliore lo si vede dalla lista di coloro che hanno fatto parte dell’orchestra.

Clifford Brown, Donald Byrd, Freddie Hubbard, Keith Jarrett, Chuck Mangione, Thelonious Monk, Wayne Shorter, Bobby Timmons ed i fratelli Marsalis. Questa band, e la sua produzione, hanno accompagnato tutta la sua vita, visto che, a 71 anni, a pochi giorni dalla sua morte, stava ancora suonando. Ma a volte era sul palco e non suonava: i suoi eccessi con l’alcool e con l’eroina gli hanno impedito, per anni, di esprimersi al massimo del suo livello tecnico, costringendolo a limitarsi a fare una sorta di arrangiatore e, quando stava meglio, di direttore d’orchestra.

The Jazz Messengers nel 1956

Ha viaggiato a lungo in Africa, sia per studiare che per ricercare le fondamenta dell’islam (si era convertito a 30 anni) ed aveva passato molto tempo nelle zone che erano state la culla dell’Impero Zimbabwe, che nel più profondo medioevo europeo, erano un faro di ricchezza, architettura, marineria, scienza e tolleranza per tutto il mondo, aprendo la via commerciale alle Indie che ancora oggi dà quella mescolanza unica alla società di Zanzibar e della costa della Tanzania.

Ma ha anche imparato il giapponese e passato alcuni anni a Kyoto, con una delle sue quattro mogli, che veniva appunto da laggiù. Ha lasciato dieci figli, otto dei quali vivevano a Manhattan, come lui, quando Art si è ammalato di cancro ai polmoni, e poi ne è morto. Per me è stato difficile scegliere un disco nella sua vastissima produzione, perché ci sono una dozzina di dischi che sono veri e propri capolavori, ed alla fine ho preso il più vecchio fra quelli che adoro. Ve lo propongo quasi per intero, perché è godibile, fenomenale, e se avete l’orecchio allenato è pieno di spigoli e di complessità che vi regaleranno delle emozioni.

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