L’antro di Dioniso
La festa nei Giardini della Filarmonica Romana continua. E si continua a parlare di libri. In un paese che non legge o legge poco o non ha voglia di leggere, proporre la lettura di un libro non è solo un atto indispensabile, è una protesta civile contro una barbarie culturale – ahinoi di lunga, lunghissima data – che ci colloca ai margini dell’Europa.
Il libro di cui si è parlato è Puccini, di Virgilio Bernardoni, Milano, Il Saggiatore. Fa compagnia ad altri quattro volumi che il Saggiatore ha dedicato a compositori italiani di opera: Rossini, di Andrea Chegai; Bellini, di Fabrizio Della Seta; Donizetti, di Luca Zoppelli; Verdi, di Paolo Gallarati. Agli autori l’editore ha chiesto di non addentrarsi in analisi musicali. Scelta editoriale che evidentemente vuole porre in rilievo il carattere divulgativo della serie, ma che non condividiamo. I programmi di sala dell’Opéra di Parigi, dei festival di Aix-en-Provence, di Bayreuth, di Salisburgo, dei teatri di Monaco, Berlino, Madrid, Londra sono zeppi di analisi musicali e non sono certo pubblicazioni destinate solo un pubblico di addetti ai lavori. O si vorrà sostenere che il pubblico francese, spagnolo, tedesco, austriaco, inglese, è più colto del pubblico italiano? Non credo che sia questa l’intenzione, anche se si deve ammettere che in altri paesi l’educazione musicale è molto più diffusa e accurata che in Italia. Anni fa qualcuno – e tra questi Fedele D’Amico – tuonava, a ragione, che l’Italia è un paese musicalmente analfabeta. Non si è fatto molto per superare questa umiliante situazione di svantaggio rispetto ad altri paesi. Ma a ciò si deve aggiungere che da qualche tempo l’idea di editori, teatri, istituzioni concertistiche, sembra essere non di incoraggiare un’informazione culturale più attenta, bensì di venire incontro alla scarsa competenza musicale del pubblico italiano, abbassando il livello delle manifestazioni. Esistono eccezioni, e l’Accademia Filarmonica Romana è tra queste, ma il panorama generale è desolante. La più importante casa editrice francese, Gallimard, può pubblicare un romanzo nel quale il protagonista, un filologo classico, cita Omero in greco antico (Croire au merveilleux, di Christoph Ono-dit-Biot, 2017) e nessuno ha sollevato obiezioni, il romanzo anzi si è classificato in testa alle classifiche dei lettori. In Italia, se si traduce un saggio importante di Heidegger su Nietzsche, zeppo di citazioni greche, delle citazioni si pubblicano solo le traduzioni italiane. Il punto, credo, stia nel fatto che case editrici e teatri degli altri paesi stimano il pubblico al quale si rivolgono e lo suppongono competente. Case editrici e teatri italiani, no. Oppure lo misurano sulla base della insufficiente competenza degli amministratori che dirigono case editrici e teatri. Non va meglio nel giornalismo. Anzi: va peggio. Peccato, perché invece la discussione sul libro dedicato a Puccini era interessante. E pur troppo è stata, però, solo sfiorata l’idea fondamentale che andrebbe approfondita, quando si parla della “modernità” di Puccini. Che la modernità non stia in questa o in quell’altra novità di scrittura, ma nell’atteggiamento con cui si guarda alla musica, al teatro. Puccini non è un compositore di avanguardia, ma nemmeno un nostalgico conservatore. La sua modernità va cercata al di fuori della logica delle avanguardie.
Nella seconda parte della serata, che aveva per titolo Colores, Marco Sinopoli e Roman Gomez si sono esibiti in una serie avvincente di avventure musicali nel mondo del jazz, e non solo. Quattro musicisti, Marco Sinopoli al pianoforte e alla chitarra elettrica; Roman Gomez, argentino che ormai risiede ad Atene, alla chitarra classica e bandoneón; Marco Siniscalco, al basso; e Marco Rovinelli (i Marchi, come li ha definiti Gomez), alla batteria.
Un incidente ha tolto momentaneamente a Roman Gomez l’uso della mano sinistra. Ma all’ascolto non ci si accorgeva. Che pena però vederla inerte, quella mano, quando suonava il bandoneón. Che cosa resta dell’ascolto di una così bella esperienza? Ma intanto la bravura di questi musicisti di passare da uno strumento a un altro, pratica un tempo naturale per qualunque musicista e che oggi, invece, i musicisti “classici” sembrano avere perduto o dimenticato. E poi l’affinità dei due giovani alle tastiere e alle chitarre: una vena di canto che emerge anche dentro il brivido d ritmi complicati, uno struggimento da milonga nell’argentino, una voglia di melodia nel romano. E allora ecco che i generi saltano, saltano i confini, le barriere. C’è solo questa febbre di una musica che si fa mentre la si suona e che non si sa dove possa andare a finire. Perché finire deve, comunque. Ma l’idea è che in realtà non finisce affatto. Una volta che ci si tuffa nell’abisso, l’abisso è senza fondo, c’è sempre un altro fondo ancora più a fondo. Ed ecco la seconda lezione di questa musica: che non è data una volta per tutte, ma si rifà, si ricomincia ogni volta e ogni volta può andare dove nemmeno chi suona sa dove si andrà a finire. Anche questo, un tempo, era di tutti i musicisti. Oggi, non più. E proprio chi dovrebbe maggiormente custodirne la fantasia, il musicista che si autoproclama “colto”, sembra averne perduto il filo, spaurito o sperduto, senza il suo diagramma di regole, oppure la sua Arianna, che lo ha aiutato a entrare nel labirinto, ha mollato la sua saggia prudenza di scolaretto di conservatorio, i suoi timidi esercizi di classificati ai concorsi internazionali, e si è buttata tra le braccia del dio dell’ebbrezza, il dio che la musica, la riconduce alle sue origini orgiastiche: Dioniso.
ACCADEMIA FILARMONICA ROMANA
rEstate in Ascolto
Virgilio Bernardoni, Puccini, Il Saggiatore
Colores, Marci Sinopoli e Roman Gomez
23 giugno 2023
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