Il grande inno segreto alla libertà

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23 Agosto 2021

Branimir Štulić è nato nel 1953 in una delle famiglie più antiche e potenti di Nin, un paesino croato vicino a Zara, dove la famiglia Štulić, fin dai tempi del Doge Francesco Morosini, invitto nelle sue guerre contro i turchi, aveva rivestito le alte più cariche cittadine e diversi importanti incarichi commerciali per conto della città di Zara, che era uno dei più floridi ed influenti porti della Repubblica di Venezia. Il padre di Branimir, che era tra i combattenti del Maresciallo Tito durante la guerra partigiana, aveva ottenuto il comando delle truppe jugoslave a Skopije, la capitale della Macedonia.

Tutto il contrario di Branimir, ragazzo solitario, ostinato e ribelle, avverso all’autorità di Tito e del padre, che invece adorava il maresciallo. Per questo, anche perché pensavano che la madre avesse una cattiva influenza su di lui, lo hanno mandato a studiare musica e filosofia a Zagabria, nella speranza di farne un insegnante. Ma Branimir è un liceale atipico, che si circonda di amici altrettanto mariuoli.

Branimir Štulić (1979)

Nel 1968, quando lui ed i compagni frequentano il terzo anno di liceo, il venerdì, dopo la scuola, scappano da Zagabria per andare a Trieste a sentire i Rokes. Per ostilità al regime jugoslavo, lui e gli amici hanno segretamente studiato l’italiano (una lingua dich9iarata nemica come il popolo che la parla) e, ascoltando la radio, hanno scoperto una band straordinaria che, nei loro sogni, è pari ai Beatles ed ai Rolling Stones: si chiama The Rokes, è messa insieme da ragazzi inglesi che suonano le leggendarie chitarre Eko (quelle a freccia) e suonano a Trieste quel sabato sera.

Ufficialmente visitano degli studenti di Lubiana (non si poteva mica andare in giro liberi come adesso) ma poi, arrivai in quella che sarebbe divenuta la capitale della Slovenia, gli ultimi 90 km li hanno fatti con l’autostop, su dei camion di legname: “Passammo la frontiera di notte, nascosti tra i tronchi, temendo più di essere scoperti che di essere schiacciati – che era molto più probabile – e ci trovammo all’alba di un giorno freddo e umido a chiedere l’elemosina a Pavana per pagarci un caffè. Lì c’era un ragazzo di lingua slovena che suonava la chitarra, gli chiedemmo se sapesse suonare i Rokes, e lui ci suonò la nuova canzone, “Ma che colpa abbiamo noi”. Restammo fulminati, perché era la canzone che aspettavamo da tutta la vita, quella che spiegava perché fossimo diversi dai nostri genitori”.

The Rokes nel 1968, con le caratteristiche chitarre a freccia della EKO

Il concerto lo hanno ascoltato dall’androne del teatro, non si erano preparati ad avere i soldi necessari per entrare, ma è stato indimenticabile lo stesso. Per tornare a casa si presentarono al confine e raccontarono di aver seguito delle ragazze italiane e di essersi persi e sbronzati. Li rimandarono a casa in treno con una punizione di un mese senza libera uscita, che loro utilizzarono per ascoltare la radio ed imparare canzoni da suonare insieme.

Il gruppo, chiamato Azra, che suonava cover dei gruppi beat inglesi, era proibito ma tollerato, finché questi gruppetti si limitavano a suonare a feste popolari o nelle scuole. All’inizio era poco più di questo, ma poi sono passati gli anni, quegli adolescenti sono cresciuti, e con loro è cresciuto il valore della loro musica e dei loro testi. Nel 1978, dieci anni dopo il viaggio avventuroso a Trieste, Azra è diventata la più importante e controversa band di tutta la Jugoslavia, ed i suoi concerti, pubblicizzati a mezza bocca nelle scuole, riempiono ovunque le sale.

Concerto di Azra a Gospić nell’ottobre del 1978

Alla fine dei concerti, Azra aveva brani propri contro la dittatura piccolo borghese e reazionaria che reggeva la Jugoslavia e l’Unione Sovietica, oppure canzoni sul sogno di poter viaggiare nel mondo: “Ci hanno costretti a stare insieme con i carri armati, e poi si sono accorti che non sono capaci di guidare il Paese. La dittatura non è più efficiente della democrazia, perché non c’è selezione dei quadri. Quindi, dal 1974 in poi, il governo si è messo a cercare dei colpevoli per il fallimento delle sue promesse di benessere, ed ha raccontato a Belgrado che erano i Croati, a Zagabria che erano i Bosniaci, a Sarajevo che erano gli Albanesi, e così via, creando i presupposti della guerra civile terribile che c’è stata non appena il potere militare centrale si è dissolto”.

All’inizio, Azra suonava in concerti segreti, ma era impossibile tenerne celata l’esistenza, perché erano di gran lunga il gruppo più famoso del Paese, e le due figure chiave, Branimir Štulić ed il poeta bosniaco Jura Štublić, erano enormemente popolari anche nelle riunioni dei collettivi universitari o le manifestazioni sindacali. Nel 1985 Branimir è scappato in Olanda, Jura in Grecia. La band registrava i suoi dischi ad Amsterdam e poi, con un sistema di contrabbando, li vendeva in patria. Ma siamo già alla fine del regime, la Perestroijka toglie il tappo, la guerra civile combina il resto.

Oggi Branimir e gli Azra sono tra gli eventi culturali più importanti della ex Jugoslavia, e forse l’unica band che abbia lo stesso successo in Slovenia, in Serbia, in Bosnia ed in Croazia. I suoi testi, oggi, sono contro il nuovo fascismo che attraversa l’Europa, contro la corruzione dei governi dei paesi della ex Jugoslavia, per il rilancio del movimento operaio: “Oggi, dopo la voluta distruzione della borghesia e dell’industria, gli operai ed i datori di lavoro nuotano nella stessa merda. Devono capirlo, prendere coscienza, e battersi per impedire il completo annientamento della società civile attraverso il fascismo, l’opportunismo, il populismo”. Tutto questo, Azra e Branimir lo riassumono in un’unica canzone, che tutto il loro popolo di fan conosce a memoria. Il più grande inno alla libertà mai scritto da poeta italiano. “Ma che colpa abbiamo noi”.

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CAT: Musica, Storia

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