Musica nelle Marche: Mozart e Rossini si danno il cambio

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9 Agosto 2020

Cambio della guardia, ieri sera, tra i due festival musicali più importanti delle Marche e, per dirla tutta, del paese intero. Mentre a Macerata andava in scena allo Sferisterio l’ultimo Don Giovanni, a Pesaro il Teatro Rossini apriva le sue porte per La cambiale di matrimonio.

Procedendo da Nord a Sud, a Pesaro il Rof si è deciso per un ritorno alle origini, ripartendo dalla prima opera buffa di Rossini, La cambiale di matrimonio, una nuova produzione già prevista per questa edizione – per Moïse et Pharaon ed Elisabetta, regina d’Inghilterra tocca aspettare il prossimo anno. Non c’è dubbio che la deliziosa operina, allestita con l’orchestra in platea e il pubblico nei palchi, renda più semplice il rispetto delle regole sul distanziamento: pochi personaggi, orchestra ridotta, niente coro e meno di un’ora e mezza di musica per una farsa incalzante e divertente che ci riporta agli esordi del compositore pesarese, che nel 1810 aveva diciott’anni e già parecchia esperienza, tra sonate, messe, cantate e persino un’opera seria, Demetrio e Polibio, che però sarebbe stata rappresentata solo due anni dopo.

Davide Giusti e Giuliana Gianfaldoni. Foto Studio Amati Bacciardi

Dei tre tenori segnati in locandina, solo Davide Giusti canta davvero. Agli altri due è stata affidata direzione – Dmitry Korchak – e regia – Laurence Dale – con risultati più che discreti. Può darsi che Korchak non colga del tutto la verve e lo spirito della partitura, e per una farsa comica non è un problema da poco, ma compensa tenendo bene l’orchestra e soprattutto i cantanti, che accompagna con attenzione. Quanto a Dale, aiutato da Gary McCann per scene e costumi, riesce nell’impresa di non far notare le rigide misure anti-Covid che i cantanti devono rispettare, e anzi sfrutta un paio di momenti del libretto in cui pare che anche Gaetano Rossi fosse informato del distanziamento: quando l’americano Slook arriva in casa Mill e, nell’imbarazzo generale, vorrebbe abbracciare tutti.

Lo spettacolo sembra un tour nel mondo anglosassone ottocentesco: l’inglesissima facciata che occupa tutto il boccascena si apre rivelando interni coloniali tra India e Sri Lanka, Mill gira per casa con un turbante in testa, mentre Slook entra in scena vestito da David Crockett con grizzly al seguito come un Siegfried canadese, nel finale tutto vira verso un romanticismo pittorico, con atmosfere alla Constable, fumi, nebbie e alberi che spuntano dalle quinte come nella più classica delle Lucie di Lammermoor.

A volte la regia tende, non a torto, a un comico nonsense alla Monty Python, altre invece insiste un po’ troppo sulle convenzioni da repertorio buffo che ci si aspetta sempre. A conti fatti non sembra sia stata trovata una chiave per mantenere viva la tensione interna dell’opera. Ma forse non serviva: in fondo quello della Cambiale è un Rossini ancora classicista, che guarda a Paisiello e Cimarosa, e a cui manca qualche anno per mettere a punto i suoi diabolici ingranaggi, la “follia organizzata” in cui i personaggi precipitano senza capire più nulla.

Buono il cast, a cominciare da Carlo Lepore, un Mill spassoso che non rischia mai di cadere nei cliché del buffo, così come Iurii Samoilov che, nel delineare il personaggio del grezzo americano sbarcato nella raffinata Europa, raggiunge nell’ultima scena quasi un’autorevolezza da Commendatore mozartiano (complice la regia). Giuliana Gianfaldoni risolve bene la prima grande aria scritta da Rossini per una diva, Rosa Morandi (“Vorrei spiegarvi il giubilo”), e se la cava nel resto, pensando forse più alla tecnica che all’irresistibile gioco delle parti della farsa. Completano il cast Davide Giusti, Pablo Gálvez e Martiniana Antonie. Lo spettacolo è una coproduzione con la Royal Opera House di Muscat, dove l’anno prossimo l’opera sarà eseguita nell’edizione critica che sta ultimando Eleonora Di Cintio.

Tommaso Baarea, Mattia Olivieri e Valentina Mastrangelo. Foto Tabocchini Zanconi

Non è invece una nuova produzione il Don Giovanni visto a Macerata, ma si sa che allo Sferisterio tutti gli spettacoli sembrano nuovi. Inoltre il lugubre allestimento di Davide Livermore, nato l’anno scorso alle Chorégies d’Orange, è stato rimontato e in parte ripensato dal regista per rispettare tutte le misure sanitarie. Per spiegare l’idea in due parole, Don Giovanni viene ucciso nel duello iniziale con il Commendatore e la vicenda si sposta in un inferno settecentesco che si sfalda di continuo, ogni volta che il libertino si rende conto che qualcosa non torna, anche se solo alla fine avrà piena coscienza di quello che gli è successo. Nessuna scenografia: per la prima volta nella storia del festival il muro dello Sferisterio è lasciato nudo e crudo, per accogliere l’articolato video mapping dello studio D-WOK, mentre un’auto gialla gli sfreccia davanti di continuo per portare dentro e fuori i personaggi come un taxi.

Mattia Olivieri, che ha già cantato nella parte dell’archetipico libertino a Palermo, a Trieste e a Dubai in tournée con il San Carlo, è un Don Giovanni del tutto convincente per la presenza, la precisione, la facilità comunicativa e la consapevolezza del gioco teatrale tragicamente in bilico tra buffo e serio, con un peso spostato più sull’apollineo che sul dionisiaco, come in un romanzo di formazione del personaggio che arriva a poco a poco a capire le sue logiche interne, e lo fa seguendo la linea di una spietata, lucida, illuministica razionalità. Dal podio Francesco Lanzillotta, anche lui debuttante, sembra seguire la stessa filosofia, con un’accuratezza e un dominio della partitura che mai si sarebbe sperato per un’esecuzione all’aperto. Buono il resto del cast, in particolare la Donna Anna di Karen Gardeazabal e il Don Ottavio di Giovanni Sala. Donna Elvira era Valentina Mastrangelo, Zerlina Lavinia Bini, Leporello Tommaso Barea, Masetto Davide Giangregorio e il Commendatore Antonio Di Matteo.

 

TAG: Davide Livermore, Dmitry Korchak, Don Giovanni, Francesco Lanzillotta, La cambiale di matrimonio, Laurence Dale, Macerata Opera Festival, Mattia Olivieri, Rossini Opera Festival
CAT: Musica, Teatro

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