Il fascino pericoloso delle neuroscienze

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9 Marzo 2015

Una cosa certa nella vita è che da un grande potere derivano grandi responsabilità. Un neuroscienziato sa di avere grandi poteri, ma può non rendersi conto che questi poteri, a volte, possono arrivare ad essere davvero degni di Spider Man.

The allure of neuroscience (Il fascino delle neuroscienze) è un effetto risaputo, che consiste nel ritenere una spiegazione farcita di dettagli neuroscientifici irrilevanti come più attendibile e accurata rispetto ad una spiegazione egualmente informativa ma che non menziona il cervello. In altre parole, sembra che la formula magica “brain scans show” (“le immagini del cervello mostrano”) riesca ad abbagliare anche le persone più intelligenti, ma non esperte di neuroscienze.

Numerose ricerche hanno mostrato le potenziali ripercussioni di questo effetto nel mondo reale. Ad esempio, in uno studio del 2011, a 1170 persone fu richiesto di valutare un processo simulato in cui le prove a favore dell’imputato erano basate su valutazioni o psicologiche (senza “cervello”) o neuroscientifiche (con “cervello”): confermando l’ipotesi iniziale, i finti giurati erano più portati a fidarsi delle prove neuroscientifiche piuttosto che di quelle psicologiche.

Il problema è che, dato l’attuale stato dell’arte, non sempre affidarsi alla scienza più esatta – in questo caso le neuroscienze – è la scelta più corretta. Un interessante studio uscito il mese scorso su Basic and Applied Social Psychology ben illustra questo potenziale pericolo. Ai partecipanti viene richiesto di immaginare che un politico del loro partito si trovi nei guai per dei presunti reati; viene loro detto che un esperto ha diagnosticato al politico una possibile malattia di Alzheimer in fase iniziale, e che, se la diagnosi fosse confermata, quest’ultimo sarebbe costretto a dimettersi. Per metà dei partecipanti, la diagnosi è supportata da evidenze ottenute con test psicologici e cognitivi, mentre per l’altra metà è supportata da un’immagine di risonanza magnetica raffigurante il cervello del politico. Anche in questo caso, i risultati confermano le aspettative: il 69.8% dei partecipanti a cui viene mostrata l’immagine del cervello ritiene che la diagnosi sia fondata, mentre solo il 39.6% di quelli a cui vengono mostrati i risultati dei test cognitivi ritiene che questi siano attendibili. Nella realtà, tuttavia, la probabile malattia di Alzheimer viene diagnosticata proprio con i test cognitivi; la risonanza magnetica viene utilizzata solo come supporto per escludere altre malattie. Questo è dunque un caso lampante di come persone non del ramo possano venire ingannate dalla loro fiducia nella scienza esatta.

Il numero di aziende e di professionisti che offrono servizi di consulenza basata su evidenze neuroscientifiche si è moltiplicato negli ultimi anni, e se molti prendono la scienza sul serio tanto quanto fanno gli accademici (anche perché spesso sono proprio gli stessi accademici che entrano nel mondo del business), altri fanno promesse quantomeno improbabili da mantenere.

Quando si pensa al neuromarketing, cioè al marketing che, con l’intento di indirizzare le campagne pubblicitarie più efficacemente, studia non solo le nostre preferenze d’acquisto, ma anche le nostre reazioni neurofisiologiche ai prodotti, la preoccupazione per l’implicazione etica potrebbe non essere in cima alla lista: in fondo, se un produttore vuole spendere migliaia di euro per una consulenza, dovrebbe essere libero di farlo, e valutare in seguito se questo investimento abbia accresciuto i suoi guadagni trimestrali.

Quando invece consideriamo altri ambiti, come i tribunali, dove lo scopo non è monetizzare ma cercare la verità, le cose cambiano: qui una consulenza neuroscientifica di parte può davvero fare la differenza, non tanto perché meglio di altre rappresenta la verità, quanto perché è quella più capace di influenzare la corte. E’ di poche settimane fa un servizio speciale di Nature che parla proprio del problema dell’interpretabilità delle prove neuroscientifiche in tribunale nel caso del dolore cronico. Quand’è che una persona prova realmente dolore? La domanda sembra banale, ma consideriamo non il dolore acuto e momentaneo, bensì quello costante e prolungato che non cessa nemmeno dopo anni, che cambia la vita, e che magari è stato causato da un banale incidente come una caduta su un pavimento scivoloso. Ora consideriamo un paese come gli Stati Uniti, dove le spese mediche sono esorbitanti, e i trattamenti lunghi possono rovinare le famiglie; a questo punto è semplice immaginare il numero di cause legali intentate da persone affette da dolore cronico contro, ad esempio, il padrone del ristorante sul cui pavimento sono scivolate. Ed è anche semplice immaginare quanto entrambe le parti siano motivate a determinare la veridicità di un sintomo che non ha segni visibili – il dolore cronico non è come una gamba amputata, ovvero evidente a tutti -. Possono le neuroscienze, ed in particolare le neuroimmagini come la risonanza magnetica funzionale, fornire le risposte sicure sperate? Non chiaramente, non ancora per lo meno. Tuttavia, le persone sono disposte a spendere piccole fortune – una risonanza costa circa $ 4.500 – per ottenere delle consulenze che forniscono evidenze capaci (se ammesse) di influenzare molto i giurati, ma che spesso sono basate su dati non pubblicati, ovvero non riconosciuti dalla comunità scientifica.

Data la controversa natura delle prove neuroscientifiche, in particolare delle immagini di risonanza magnetica, e i comprovati effetti sui non esperti, molti giudici sono giustamente restii ad ammetterle. Tuttavia i progressi che stiamo facendo in questo campo sono enormi, e se vengono scoperti nuovi metodi per ottenere delle prove oggettive dove prima mancavano, è nostro dovere farlo presente al mondo. E’ anche nostro dovere, in quanto neuroscienziati, essere i primi a vigilare su quello che esce dalla nostra comunità; è necessario fare i conti bilanciando sempre il potenziale delle nostre scoperte con la consapevolezza del potere di influenza di cui le nostre ricerche dispongono.

In altre parole, ogni laboratorio dovrebbe dotarsi di uno zio Ben a ricordare, di tanto in tanto, la mole di responsabilità che abbiamo nei confronti del mondo che si fida di noi.

 

TAG:
CAT: Neuroscienze, Psicologia, Scienze sociali

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