Egitto, dove si muore a 32 anni per chiedere più libertà

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25 Gennaio 2015

Morire, a 32 anni, per manifestare contro un governo autoritario. Morire tra le braccia del marito, lasciando un figlio di 5 anni, per chiedere un reale compimento di quella rivoluzione iniziata 4 anni fa e mai veramente compiuta. Shaima al-Sabbagh, attivista del partito Alleanza popolare, scandiva lo slogan “pane, libertà e giustizia sociale” – lo stesso che animava la piazza nel 2011 – prima di essere colpita a morte. 

L’Egitto, oggi ancora di più, è l’emblema del fallimento della Primavera araba con la domanda di democrazia rimata inevasa. Piazza Tahrir è stato a lungo l’epicentro della rivolta nel mondo arabo, un movimento che aveva sollevato tante speranze. Ma la storia egiziana consegna un quadro di totale restaurazione. Dopo la caduta di Mubarak c’è stata la fase di transizione, seguita dall’affermazione dei Fratelli Musulmani con l’elezione di Morsi come presidente.

Ma Piazza Tahrir non poteva accettare che la rivoluzione culminasse in una presa di potere da parte di un partito islamico, per quanto moderato (almeno in confronto agli estremismi di altre organizzazioni). Insomma, il sogno della libertà nel segno della laicità – che era stato un principio fondante sin dalla nascita della Repubblica egiziana da Nasser, passando per Sadat fino a Mubarak – si era infranto contro il successo della Fratellanza. Così il Cairo, nell’estate del 2013, è diventato il fulcro di una seconda rivolta, sfociata in un colpo di Stato che ha portato alla presidenza il generale Abd al Fattah al-Sisi. Che ha prontamente avviato un’operazione di massiccia restaurazione di un regime militare, tanto che Mubarak è stato assolto dall’accusa di aver ordinato la repressione nel 2011. Il cerchio si è tragicamente chiuso durante la celebrazione del quarto anniversario della rivoluzione con l’uccisione di Shaima al-Sabbagh.

Una testimonianza che nulla è cambiato, sotto lo sguardo debordante di realpolitik (e di ipocrisia) dell’Occidente che vede nel presidente egiziano un argine contro l’islamismo. Al-Sisi, del resto, è stato abile e forgiare un’immagine credibile all’estero, almeno presso le cancellerie europee, tanto che di recente  è stato citato come “un modello” da Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio, però, farebbe bene a informarsi prima di addentrarsi in certi complimenti: potrebbe evitare sperticati elogi all’ex generale che non è propriamente un campione di democrazia.

Almeno undici persone sono morte negli scontri con le forze dell’ordine, per la commemorazione del quarto anniversario della Primavera Araba. Qualcuno rileva che sono di meno rispetto agli anni precedenti, omettendo d’altra parte che la repressione nel corso degli ultimi ha infiacchito le fila delle opposizioni, sia liberali che socialiste, oltre ad aver messo al bando i Fratelli Musulmani.

E oggi le immagini di Shaima al-Sabbagh sono davvero dolorose per quella storia personale di una donna che muore tra le braccia del marito. La 32enne attivista era colpevole di aver presenziato al corteo, assurgendo senza volerlo a simbolo dell’impossibilità di chiedere più libertà contro l’autoritarismo del leader egiziano. In tempi di mobilitazione per la tanto decantata libertà di espressione, appare infine opportuno ricordare che in Egitto, dal 2013, è in vigore una legge che prevede “tolleranza zero” contro le manifestazioni. E da allora migliaia di attivisti sono finiti in carcere.

TAG: Al Sisi, egitto, Fratelli Musulmani, piazza tahrir, primavera araba
CAT: Nordafrica, Questione islamica

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