Guerra in Libia: serve maturità contro i titoli allarmistici e dal clic facile

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18 Febbraio 2015

Una prova di maturità per i media e in parte anche per i lettori, in quanto singoli utenti dei social network. La situazione in Libia impone a tutti, addetti ai lavori e semplici internauti, un esercizio di riflessione attenta e pacata per arrivare al risultato migliore: dare prova di responsabilità contro la tentazione dell’allarmismo a tutti i costi, del titolo strillato che aumenta i clic e chissà forse la vendita di copie in edicola. Ma fa perdere la qualità dell’informazione, foraggiando timori talvolta eccessivi.

Il caos libico, a lungo colpevolmente ignorato (salvo sporadici appelli), non va certo sottovalutato e ridimensionato. Ma va anche detto che al momento i guerriglieri dell’Isis in Libia sono circa un migliaio. Un numero che non permette conquiste repentine, né tantomeno lascia immaginare alla possibile invasione in Italia. Eppure qualche articolo dai toni sensazionalistici, magari avvalorato da qualche dichiarazione incauta di un esponente politico, inizia circolare sul web, alimentando e il pensiero di un pericolo imminente in arrivo dai barconi di migranti.

Proprio per questo il giornalismo, sia quello tradizionale che la versione digitale, ha il compito di raccontare i fatti, sviscerarli con spiegazioni precise, evitando di riportare indiscrezioni non meglio identificate oppure citando fonti di cui non si conosce l’esistenza. Anche sulla presunta “radio Isis”, che ha minacciato l’Italia e il ministro Gentiloni, sono state costruite notizie un po’ frettolose. La propaganda dell’autoproclamato Califfo ricorre a numerosi canali, social compresi, per veicolare messaggi la cui attendibilità resta misteriosa. Ma se un estremista lancia un’invettiva contro l’Italia, non vuol dire che ci sia un’imminenza di rischio.

Inoltre la frase “siamo a sud di Roma” rilanciata dai media (anche internazionali), e amplificata dai social, è stata attribuita da un combattente islamista in un filmato, ma di sicuro non rappresenta un immediato progetto di attacco alla Penisola. Eppure quelle parole sono state veicolate in modo tale da trasmettere un senso di paura, di minaccia immediata. Con tanto di migliaia di condivisioni social.

La Libia è un problema con cui dovremo abituarci a convivere, perché l’Isis è destinata a crescere nel numero e nei mezzi a disposizione: il fascino estremista dei jihadisti ammalia centinaia di giovani che spesso si uniscono ai “battaglioni neri” dei tagliagole. Ma proprio per questa ragione, i mezzi di informazione devono dimostrare di avere i giusti anticorpi contro la tentazione dell’allarmismo: non si tratta di essere politically correct, ma di svolgere con rigore il proprio lavoro.

È legittimo pure perorare la causa della guerra, ma a patto che avvenga sulla base di riflessione razionale e non di un’informazione sguaiata che punta al pancia del cittadino per avere un “like” e uno “share” in più. La questione è troppo seria per essere incanalata nel binario dello show che ci propina spesso il fast food giornalistico.

TAG: giornalismo, guerra, isis, Libia
CAT: Nordafrica, Terrorismo

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