Per avere udienza in Aula, si consiglia di morire tra lunedì e martedì

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25 Aprile 2015

Basterebbe che l’annuncio di una morte singola o addirittura di un dramma collettivo avvenisse di lunedì o di martedì, o meglio ancora nella notte tra, in modo da sistemare con cura Morale collettiva e senso della dignità, giornaloni scandalizzati che strillano all’aula deserta, con relativa foto dei banchi vuoti a destra, a sinistra al centro, e le parole, sempre quelle, sempre addolorate per il degrado istituzionale, del presidente della Camera di quel momento. Basterebbe, anche, che nel prossimo vertice europeo si stabilisse una semplice e definitiva norma per cui, ad esempio, gli scafisti sono pregati di organizzare le tragedie del mare tenendo conto dell’unico giorno lavorativo dei nostri deputati: il mercoledì. In questo caso, il ministro competente, Paolo Gentiloni, il cui intervento è stato richiesto a gran voce dalle forze parlamentari, doveva spiegare una questione delicata e complessa come la morte di un cooperante perbene come Giovanni Lo Porto, “Giancarlo” per la famiglia, ucciso dall’intelligence (si fa per dire) americana tre mesi fa. Peccato solo che fosse di venerdì e da noi il venerdì non si lavora.

Ci siamo particolarmente intristiti nel vedere perpetuato all’infinito un cerimoniale che definire avvizzito è poco: l’Aula vuota con indignazione incorporata, come un corpo unico e solenne, immaginato all’epoca dai nostri padri fondatori come perfetta fotografia di un Paese che sulla finzione condivisa ha costruito buona parte della sua (meritatissima) fama. Spiace anche opporre cinismo a dramma, ma quale altra via si può tentare nel mare ipocrita di un teatrino che ripropone da mezzo secolo la stessa rappresentazione?

Questa ipocrisia ha anche una sua democrazia, un suo equilibrio, un suo fottersene purchessia, visto che dirotta la stessa indifferenza a drammi di ogni portata, di ogni latitudine, di ogni sentimento. L’Aula è comunque vuota, non ha MAI un soprassalto, è perfettamente democratica dunque. Perché andrà certificato, una volta per tutte, che qui in Parlamento non ci si balocca coi sentimenti, chè quelli possono anche farti deragliare dalla politica più vera, quella del corridoio, quella delle poltrone, quella del mercoledì, appunto.

Abbiamo passato una vita dentro quei Palazzi ed è sempre andata così. Fa piacere constatare che anche “questo verso” renziano tiene lo stesso atteggiamento, e semmai ci saremmo molto preoccupati di vedere, ad esempio, l’intero governo schierato a fianco del suo ministro Gentiloni, come a dimostrare il senso alto di un momento, il rispetto per una vita persa, che come ha detto il presidente del Consiglio “strazia il cuore”. E sarebbe stata epocale quella differenza, con tutto il governo schierato e i banchi miseramente vuoti. Ma anche il banco del governo era miseramente vuoto.

Qualche giorno fa, Enrico Letta ha annunciato per settembre le sue dimissioni da parlamentare a «Che tempo che fa». Mai parole furono più acconce: «Voglio vivere del mio lavoro come ho vissuto per un po’ di anni della politica». Dimostrazione plastica di quel luogo comune, che qualcuno ha il coraggio si spacciare ancora per populismo, secondo cui in Parlamento non si fa sostanzialmente una mazza, si lavora pochissimo, si arriva a Roma il martedì pomeriggio e il giovedì all’ora di pranzo sei già con il tuo cazzo di trolley in mano per sgommare a casa.

Per cui, se qualcuno per caso muore da giovedì in avanti, ciccia.

TAG: camera dei deputati, Giovanni Lo Porto
CAT: Parlamento

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