Pagelle Quirinale: le lacrime di Rosy, il cinismo q.b., e Chance il Giardiniere

31 Gennaio 2015

MATTEO RENZI – L’elezione di Sergio Mattarella è pochissima cosa rispetto alla vera immagine plastica del trionfo renziano: Rosy Bindi che all’assemblea dei Grandi Elettori del Pd si getta a corpo morto, sopraffatta da un fiume di lacrime, su un inconsapevole presidente del Consiglio, che abbraccia ripetutamente e ringrazia come fosse il suo più caro compagno di giochi. What else, Matteo?

Gestione notevole del caso, cinismo q.b., comprensione del momento e soprattutto l’idea vincente che questa volta avrebbe dovuto fondare tutto sulla solidità del suo partito e meno su avventurismi nazareni. Queste le armi di Renzi. Svolta interna, la ritrovata liaison con Bersani, l’unica personalità di vero peso all’interno del partito, che lo ha traghettato felicemente alla vittoria. Prende mezzo punto in meno della perfezione scolastica, perché veniamo a sapere dal Corriere della Sera, per le parole autentiche del protagonista, cioè Casini Pierferdinando, che «la mia candidatura – così racconta il genero di Caltagirone – come quella di Amato, nasceva nella logica del Patto del Nazareno. E così la pensava anche Renzi. Poi se n’è uscito fuori con Mattarella. Che le devo dire? A me ha raccontato che sul mio nome non ci sarebbero stati i voti della minoranza Pd… Persino la Merkel, nell’incontro di Firenze, con Renzi ha speso parole nei miei confronti».

Su questo scenario ai confini della realtà (per noi cittadini, naturalmente) restiamo in fiduciosa attesa della categorica smentita di Matteo Renzi, nel qual caso gli restituiremo quel mezzo punto che per ora teniamo in via precauzionale nel cassetto.

VOTO: 7,5

SILVIO BERLUSCONI – Gli diremmo, avendolo a tiro confidenziale: che le succede, Presidente, qualche problema a casa, si sente soffocato dalla Pascale, certo… la capiamo, forse è il caso di trovare una signora più matura, che sappia comprenderla meglio in certi momenti delicati della vita…

Fatto sta che è andato in cimbali, come peraltro un’indiscrezione giornalistica di Franco Bechis su Libero rivelerebbe. E cioè che Mattarella addirittura gli piaceva come candidato possibile, per una certa moderatezza, per una vita lontano dal rancore, alimento primario che animò le mosse di Oscar Luigi Scalfaro nei suoi confronti. E anche quelle dimissioni di un quarto di secolo fa, chissenefrega, sono roba da Nefertari. Insomma, aveva tutto per prendersi un qualche merito da statista seppur momentaneamente galeotto e invece niente, lo hanno rincoglionito (i suoi) al punto tale da mandare all’aria il tavolo, solo perché Renzi il furbetto aveva giocato la sua carta in autonomia. E poi quella deriva sudamericana, sempre all’amatriciana per carità, per cui evocare per una buona mezza giornata l’ipotesi che Forza Italia avrebbe lasciato l’Aula. Nel giorno del presidente della Repubblica! Qui mancano davvero i fondamentali, che pure un tempo se non erano così abbondanti, almeno facevano capolino nella situazioni delicate. Invece nulla, la brutta figura è epocale, il dato politico sottozero e soprattutto totalmente sbilanciato – adesso – il suo rapporto con Matteo Renzi. Cacciare Brunetta come già Seedorf (e a fine stagione sperabilmente Inzaghi) sarebbe una prima, buona, cosa.

VOTO : 2,5

ANGELINO ALFANO – In questo caso, un tempo autorevoli cronisti sportivi avrebbero risolto la pagella con sole due lettere dell’alfabeto: «n.g.» (non giudicabile), non avendo cuore neppure di argomentare la nullità tecnico-atletico-comportamentale del giocatore in questione. A noi più modesti scrivani tocca faticosamente il peso di dire un paio di cose aggiuntive, pur nello stordimento per un caso politico davvero, davvero, malinconico. Si è sfiorato il paradosso più straordinario della storia repubblicana: un ministro degli Interni che non vota il “suo” presidente della Repubblica. Peraltro dalla stessa radice politica, quella Democrazia Cristiana, di cui Alfano sarebbe un erede nient’affatto meritevole. Quando Renzi lo ha chiamato per ricordargli questa banalissima questione, sottoponendogli l’ipotesi di chiudere i rapporti nella malaugurata ipotesi di voto contrario o scheda bianca di Ncd (questione che evidentemente sfuggiva anche a quei due geni di capogruppo che si chiamano Sacconi, che si è già dimesso, e Di Girolamo) la salivazione di Alfano dev’essersi fantozzianamente azzerata. Al punto da riunire i suoi e ammettere la storica cappellata. Poi ha fatto la voce grossa con Renzi: «Così non va», ma giusto per darsi un tono.

Ora si tratta di capire come un tipo del genere possa ancora sedere al Viminale (o meglio: è una domanda che moltissimi italiani si pongono quotidianamente sin dal caso Shalabayeva)

VOTO: 1,5

MOVIMENTO CINQUESTELLE – Restano serenamente su Urania per tutta la durata dell’avventura quirinalizia, mostrando un distacco dalle cose reali in un certo senso invidiabile, tanti piccoli “Chance il giardiniere” che vagano per i Palazzi con il telecomando in mano nel tentativo di cambiare la realtà. Se in altre occasioni erano riusciti a mettere in una qualche difficoltà il Pd, qui abbattono alla radice questa eventualità regalando un paio di serate allegre con gli amici più cari a Ferdinando Imposimato, giudice pensionato. Il quale da stasera entrerà nella più cupa depressione.

VOTO: 3

PIERFERDINANDO CASINI – Muto da mesi come Bernardo, il servitore di Zorro, nel tentativo anche un po’ comico di accreditarsi come garante della Repubblica, da stasera potrà serenamente tornare a rispondere alle centinaia di richieste di intervista sugli argomenti più disparati, dagli “asparagi all’immortalità dell’anima” (cit. Achille Campanile).

VOTO: 4

TAG: angelino alfano, Matteo Renzi, movimento cinque stelle, pierferdinando casini, silvio berlusconi
CAT: Parlamento, Partiti e politici, Quirinale

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