E Matteotti firmò la sua condanna a morte

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8 Luglio 2023

Il 30 maggio 1924, il deputato Giacomo Matteotti, leader dei socialisti riformisti, prende la parola nell’Aula di Montecitorio sulla convalida dei deputati eletti a seguito dopo la consultazione elettorale del 6 aprile 1924.

Argomento del suo intervento è la denuncia dei brogli elettorali e delle minacce che hanno turbato il libero esercizio del voto e falsato lo stesso risultato elettorale così da consentire alla maggioranza governativa di raggiungere il quorum previsto dalla legge Acerbo e, quindi, di conquistare i due terzi dei componenti del Parlamento.

Con grande coraggio, Matteotti insiste sulla non validità delle elezioni suscitando la reazione vivace degli esponenti della maggioranza e, come registra il resocontista parlamentare, atteggiamenti infastiditi di Benito Mussolini, presidente del consiglio.

Matteotti affonda il bisturi elencando, con puntualità ragioneristica, i dati supportati da prove mentre la Camera tumultua e, in particolare, i

deputati Maraviglia, Farinacci, Teruzzi e Gonzales tentano di interromperlo ora con esplicite minacce ora cercando di sovrastare, con le proprie grida scomposte, la voce del leader socialista.

Matteotti non si ferma, però, alla denuncia dei brogli, ricorda le dichiarazioni dello stesso presidente del consiglio espresse già qualche giorno prima del voto, con le quali, a scanso equivoci, confermava l’intenzione di rimanere al suo posto anche nel caso in cui la sua coalizione non avesse ottenuto la maggioranza elettorale.  “Il Governo – aveva apertamente e provocatoriamente dichiarato – non si sentiva affatto soggetto al responso elettorale, ma che in ogni caso avrebbe mantenuto il potere con la forza”.

Nell’Aula il clima già arroventato raggiunge il calor bianco tanto che è costretto a intervenire il Presidente della Camera, per la cronaca si tratta di quell’ Alfredo Rocco, il cui nome sarebbe stato indissolubilmente legato al ricordo della riforma del Codice penale.

Il presidente Rocco, dichiara che intende far rispettare il diritto alla parola del deputato Matteotti, e si sforza di riportare l’ordine ma, maldestramente, se ne esce con un invito al deputato riformista a parlare “prudentemente”.

La risposta indignata di Matteotti, che sorprende molti per l’audacia e la determinazione, è da iscriversi alla storia degli annali parlamentari.

Poche parole, secche e orgogliose: “Presidente Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente!”.

Seppure più volte interrotto, Matteotti prosegue fino in fondo e concludendo, con voce ferma nonostante fosse cosciente delle conseguenze per la sua stessa sicurezza personale che quel discorso avrebbe avuto, conclude ricordando che l’opposizione riformista non interviene per tutelare posizioni personali ma “per difendere la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e per il quale rivendichiamo la dignità domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza e dai brogli.”.

È l’ultimo discorso di Giacomo Matteotti alla Camera perché dieci giorni dopo, il 10 giugno 1924, viene rapito e ucciso da un manipolo di bravacci fascisti capeggiati da Amerigo Dumini, non solo per le denunce in Aula ma anche perché si apprestava a denunciare un affare di corruzione riguardante concessioni petrolifere in cambio di tangenti nella quale erano coinvolti personaggi vicini allo stesso Duce e ai massimi dirigenti del Partito nazionale fascista.

 

 

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CAT: Parlamento, Storia

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