35 anni dopo il terremoto in Irpinia resta ancora la sfiducia di una generazione
Le lancette si fermano, puntuali, alle 19.34. In Irpinia e, spero, anche in Italia: è il 23 novembre, anniversario del terremoto in Irpinia del 1980. Ogni anno si celebra un rito della memoria, un atto di doveroso rispetto per ricordare che 2.914 persone – secondo i numeri ufficiali – sono morte in una delle peggiori tragedie della storia italiana.
Sembra un errore di digitazione e invece è proprio così: 2.914 vite spazzate via da una scossa troppo forte e lunga per essere retta da migliaia di costruzioni inadatte. Un numero gigantesco di miei conterranei, nostri connazionali, uccisi da un disastro naturale. A cui si sono sommati il disastro della gestione dei soccorsi che avrebbero potuto fare molto di più e di una classe politica inconsistente. Eppure non parliamo di un’era geologica fa, ma di appena 35 anni. Insomma, eravamo nel Novecento non nel Medio Evo.
Iniziavano così i “favolosi anni ’80”, quelli del mito della crescita e dell’Italia super potenza economica. Sembra un paradosso che un decennio luccicante, almeno nella sua apparenza, prendesse l’abbrivio con una tragedia. Nei fatti il terremoto in Irpinia più che paradosso è diventato un paradigma italiano con la malapolitica a braccetto con il malaffare. Inutile fare giri di parole: la ricostruzione è stata una macchina mangiasoldi; decine di miliardi di lire macinati in un tritacarne, mentre migliaia di cittadini erano costretti a vivere in condizioni disagiate. In pratica un ritratto perfetto del Belpaese, come si diceva un tempo per indicare l’Italia.
Alcuni dati bisogna fissare nella mente (lo avevo già fatto lo scorso anno sempre su Gli Stati Generali e lo ripeto per fare un’operazione di memoria): a dieci anni dal sisma, nel 1990. 28.572 persone erano ancora costrette a vivere roulotte e in container. Altri 4.405 erano ospitati negli alberghi. Solo lentamente la situazione ha assunto una normalità, dopo l’istituzione di un’apposita commissione per cercare di fare chiarezza.
Ora è passato molto tempo. Ma, il senso di smarrimento di fronte a quello che accade non è diminuito. Per niente. Proprio perché quel 23 novembre si è consumata una tragedia dalle molteplici sfaccettature, come ho descritto in precedenza: quella di quasi 3mila morti, a causa di soccorsi inadeguati, seguita dalla ricostruzione infinita, per colpa di una classe dirigente priva di una direzione se non quella della cassaforte. Con un risultato dagli effetti devastanti: la sfiducia infusa a un’intera generazione, cresciuta tra disagi, con la navigazione a vista e la sensazione di abbandono delle Istituzioni e di una politica bulimica di stanziamenti. Chi volesse capire cosa è realmente tuttora il terremoto dell’Irpinia, dovrebbe visitare quella terra e le cicatrici lasciate. I luoghi, anche se ricostruiti, possono svelare cosa è davvero accaduto in quella sera. Molto più di una descrizione.
Un commento
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Il quip recita beggars cant be choosy, ma nella lingua locale la traduzione manca.