Chi avrà più scontenti nel partito vincerà le prossime elezioni

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16 Agosto 2015

La piena soddisfazione di un elettore non è, come sarebbe automatico pensare, il successo nelle urne, che semmai rappresenta il punto finale di una condizione politica, ma è consegnare se stesso, nella misura più serena possibile, al partito che si è deciso di votare. A pensarci meglio, non c’è in natura un altro rapporto così disequilibrato, così pericolante, così rischioso, che ci potrà condurre ad aderire a un progetto senza avere – praticamente – alcuna garanzia sulla buona riuscita del medesimo. È peggio che giocare in Borsa, tre volte peggio che confrontarsi con il più viscido dei promotori finanziari, molto spesso portatori di sventure secolari. È un autentico salto nel buio. Che cosa ci porta dunque a correre allegramente questo terribile rischio, dal momento che storicamente siamo un Paese che ha sempre votato a larga, larghissima maggioranza? Ciò che ci rende fragili, esposti al crogiolo dei sentimenti, anche al senso del dovere non disgiunto dal senso di colpa, è il valore delle istituzioni, la nostra storia patria, quel ventaglio di sentimenti altissimi che compongono il senso dello Stato. Tutto questo ci frega e ci commuove, al punto da esibire fieri la nostra tessera elettorale sia andando al seggio che tornando a casa dopo aver votato.

Le prossime elezioni saranno, se vogliamo, le vere, nuove, elezioni del secolo, presentando elementi di assoluta originalità: prive quasi totalmente di ideologie, si affideranno a nuove, forti, personalità, pienamente al passo con il cambiamento generazionale. Renzi e Salvini ne sono naturalmente i prodotti più pieni. Spariscono i partiti per come li abbiamo conosciuti, Forza Italia è solo un lontano ricordo, la Lega non ha più la spinta propulsiva dei primi anni ’90, che si fondava sul progetto federalista, ma gioca di sponda con le contraddizioni evidenti che squassano la nostra società. Il Partito Democratico resta ancora il più organizzato sul territorio, ma naturalmente il suo leader riporta a sè grande parte della sua attrattività. Eliminata la storia, resta solo il presente ed eventualmente il futuro. I 5 Stelle sono il movimento che ha ancora i margini maggiori, se non proprio in termini di voti, almeno nell’evoluzione del suo stile politico. E sono (ancora) il partito che più riduce le distanze dal suo elettorato.

Si diceva in premessa che la piena soddisfazione dell’elettore sta nel riconoscersi in quel bacino che lo accoglie politicamente, riconoscersi culturalmente innanzitutto, pensando che il livello di quelle istanze politiche rappresenti in maniera piuttosto ampia il suo mondo di riferimento, le sue letture, i suoi studi, il suo civismo, eccetera, eccetera. È in questo dialogo incrociato che si risolvono le elezioni, che si forma un convincimento, che una persona decide di scegliere tizio piuttosto che caio. Tutto questo, naturalmente, solo in via ideale. Perché in realtà le elezioni le decidono gli scontenti, che soltanto in piccola parte (rispetto all’ampiezza totale degli “scontenti”) decidono di non votare o di astenersi. Negli ultimi anni, l’astensionismo ha assunto una forma compiuta, tanto da preoccupare le istituzioni, che lo avvertono come un rischio e un vuoto politico, quando invece i grandi Paesi democratici lo considerano pienamente tra le opzioni sul campo. Il vero nodo delle elezioni si gioca dunque su una categoria oscura, non pienamente identificata, quale quella dello scontento o del non soddisfatto. Il quale si presenta sotto varie forme: chi fa fatica, molta fatica, a riconoscersi in quel partito, probabilmente il suo partito da parecchio tempo, ma che ora gli sembra irrimediabilmente cambiato, chi sceglie in base a un interesse contingente ma in realtà non ha mai sentito suo quell’orientamento, chi aderisce a qualcosa che culturalmente sarebbe lontana anni luce dalla sua formazione ma che gli pare utile in quel momento a “risolvere problemi”.

L’angoscia maggiore dovrebbe toccare all’elettore leghista del terzo tipo, non riconducibile al bru-bru classico, persone di una certa cultura, di una condizione borghese, di solide radici democratiche, che in nome di una realpolitik del tutto interessata, abdicano a valori che ne hanno ispirato la vita sociale e votano, turandosi il naso ma neanche tanto, Matteo Salvini. Non fa impressione a costoro l’ingresso immediato nella categoria degli scacalli politici, ciò che spinge la persona ragionevole ad abbandonare il proprio stile è credere che l’adesione (momentanea) al progetto del leader leghista possa essere ritirata in qualsiasi momento senza che ciò produca conseguenze nefaste. Il successo di Salvini e della Lega si giocherà proprio su questo crinale, su quante persone di livello, di cultura media generale, di buoni studi, di condizioni economiche non necessariamente straordinarie (è possibile che egli attragga anche ceti sociali economicamente meno attrezzati) decideranno di puntare sulla via liquidatoria e demagogica ai problemi. Temiamo non saranno poche.

Per converso, anche la figura di Matteo Renzi produrrà una quantità considerevole di scontenti “attivi”, persone che in qualche modo non si riconoscono pienamente nella politica del leader del Pd ma che per motivi diversi metteranno comunque la croce sul partito. Per esempio, quanta parte della sinistra/minoranza lo farà? Dipenderà certamente da fattori diversi e totalmente in evoluzione, il primo dei quali è capire se a sinistra di Renzi nascerà qualcosa di seriamente attrattivo, considerando Civati e Fassina non all’altezza di produrre sufficiente e consistente consenso. È sempre una questione di qualità delle persone, le quali traducono per i cittadini la qualità della politica. Seconda categoria “scontenta” ma renziana, sono i nuovi arrivi da altri lidi, gente vagamente sbandata che per sentirsi rappresentata nel panorama politico, vede nel giovane Matteo una figura carismatica in grado di sublimare vecchie emozioni forziste. L’immagine dunque fa ancora presa nell’anima dell’elettore e per un certo numero di orfani di B. l’ex sindaco di Firenze è un porto sicuro dove (per il momento) ripararsi.

Il territorio su cui agirà meno lo scontento diffuso degli italiani è proprio il territorio dei 5 Stelle. I quali è vero, verissimo, che sono nati da tutti gli italici scontenti ma che per forma originaria e compiuta di interpretazione politica non sono in “caccia”, nè in cerca di voti “scontenti”. Sono un po’ semaforo di Prodi, un po’ poliziotto di quartiere, in un mix di familiarità e di consuetudine, come un buon vicino di pianerottolo con cui scambiarsi piaceri, all’interno di un grande condominio dove tutti si guardano in cagnesco. È probabilmente il voto più convinto, ma anche il meno mutevole.

Ps. Non abbiamo qui esaminato l’evoluzione dell’elettorato di Area Popolare o Fratelli d’Italia. È che è un’impresa più grande di noi, quella di immaginare un umano consapevole che aderisce a tali progetti. Ce ne scusiamo.

TAG: partiti
CAT: Partiti e politici

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