Di De Luca e di come sta cambiando il paese
Oggi, in tanti, scoprono il personaggio politico Vincenzo De Luca, la ribalta nazionale non è (solo) dovuta alle comparsate televisive e alle “chiacchiere” dei giornali, ma a una soggettività politica che è, pienamente, nell’esprit du temps.
Non si tratta, infatti, soltanto di leggere il dato nazionale, i flussi, le regioni perse e vinte, né tantomeno di valutare il lavoro di “Rosaria Bindi” nella commissione antimafia e le applicazioni della legge Severino. L’elezione di Vincenzo De Luca in Campania trascende gli elementi di raffinata analisi politiche-elettorali: rappresenta piuttosto uno studio di caso per capire come si sta (è) modificando(to) il paese.
Ho avuto la fortuna da napoletano, vivendo la città, i suoi umori – dal barista al tassista – e insieme da consulente della campagna, conoscendo il candidato, e ancora attraverso la ricerca qualitativa e i sondaggi, di farmi un’idea ben precisa del successo di Vincenzo De Luca in Campania, per nulla scontato agli occhi degli osservatori nazionali.
Ad un mese e mezzo dalle elezioni, ho cominciato la mia esperienza da coordinatore della campagna a Napoli, insieme a Quorum di Lorenzo Pregliasco e Giovanni Diamanti e al suo team (Lorenzo Ravazzini per l’art direction e Stefano Origlia come senior advisor). L’ultimo mese è quello decisivo, se è vero che il 30% degli elettori è indeciso, nell’ultima settimana di campagna elettorale, se andare o meno a votare e chi scegliere. Ho trovato una campagna avviata e uno staff, quello delle primarie, organizzato e operativo a Salerno; soprattutto ho trovato un candidato che può fare campagna da solo, un animale da campagna elettorale, un bulldozer che dove andava demoliva avversari interni ed esterni con un ghigno, una battuta, una frase motivante. È un esempio classico di consulenza politica che sa adattarsi al contesto: con una soggettività così forte e strutturata, va trovata una cornice metaforica che sia in grado di valorizzare il messaggio e il profilo del candidato. Una volta trovato il frame dell’orgoglio e della riscossa “a testa alta”, è stato subito evidente, che avrebbe vinto, nonostante tutto e tutti, soprattutto di fronte a un presidente uscente assente e poco caratterizzato come Caldoro.
Perché De Luca rappresenta in pieno alcune caratteristiche fondamentali attorno alle quali si costruisce oggi, e non solo in Italia, il consenso:
- una corrispondenza tra il piano dell’espressione e del contenuto, banalmente tra quello che si dice e quello che si fa. De Luca esce dall’auto e ammonisce, a modo suo, i cittadini di Salerno, scesi a difesa di un accattone allontanato dai vigili urbani: è il classico esempio di un “fare” sintonico con il suo profilo di “sceriffo”, che può apparire poco “attento alle esigenze dei più deboli” ma è assolutamente coerente con il suo profilo politico personale (qui il video)
- una costruzione logica del discorso. De Luca è soggetto, verbo e complemento. Non è metafora, ma è graffio, è stilettata, è “punto” e poi “dunque”; sopratutto è reiterazione di parole che entrano a far parte dell’immaginario collettivo: “imbecillità”; “straordinario”; tutti elementi che rendono riconoscibile la leadership e ne permettono la replicazione e l’imitazione (vedi Crozza).
- la prova di San Tommaso. De Luca è un leader contemporaneo perché ha la possibilità di “far vedere” cosa ha realizzato, come è cambiata la vita dei cittadini che ha amministrato. È una caratteristica imprescindibile nella costruzione attuale del consenso che possono avere in pochi: non ci riesce il politico di nuova generazione che non ha mai amministrato, nemmeno quello di lungo corso che non ha effettivamente inciso o ha amministrato in un tempo troppo lontano. Oggi lo stesso Renzi ha il problema di “San Tommaso”, perché le riforme al più alto livello legislativo hanno un processo lungo di sedimentazione e di cambiamento del paese, mentre il poter far vedere e toccare con mano al cittadino/elettore quello che si è fatto è un elemento primario sul quale fondare una leadership contemporanea.
Tre caratteristiche fondamentali che sono emerse con successo grazie al più classico degli errori dell’avversario: colpire il competitor sui punti di debolezza, e non su quelli di forza (come fatto, puntualmente, da avversari esterni ed interni). Nulla di più sbagliato: dalla ricerca scientifica alla – meno attendibile ma altrettanto significativa – chiacchierata con il barista emergeva la percezione di una soggettività politica forte e ben delineata, non scalfita da attacchi screditanti e più sul piano personale più politico.
L’Italia è cambiata, non basta più il “ghe pensi mi”, non c’è più un “affidamento” ma il cittadino/elettore opera una scelta consapevole che risponde a un bisogno di concretezza: dimmi chi sei e cosa hai fatto, allora crederò a quello che vorrai fare.
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