Dobbiamo garantire la sicurezza a Salvini anche quando va in giro a provocare?

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17 Maggio 2015

Nella rimodulazione salviniana del sacro principio per cui “non condivido una mazza delle tue idee ma darei la vita perché tu le possa esprimere”, l’anima buona di Antonio Polito, meridionale, direttore di un quotidiano meridionale, nonché editorialista di un giornale di estrazione nordica come il Corriere della Sera, cerca l’impresa di tenere tutto insieme, sorprendendosi assai che non uno tra i millanta inutili intellettuali d’Italia abbia sottoscritto anche la miseria di un semplice appello a conforto di Matteo Salvini, regolarmente spernacchiato in tutte le piazze nella migliore delle ipotesi, identificato come obiettivo di violenze sparse nella peggiore. Facendosi la domanda, Polito potrebbe anche tentare l’impresa di darsi una risposta che, forse, si nasconde nella semplicità di quella favola attribuita ad Esopo, in cui un pastorello, per divertirsi un po’ alle spalle dei contadini, richiama più volte il villaggio al pericolo del lupo e quando il lupo orgogliosamente si presenta davvero, il pastorello non se lo fila più nessuno.

Prima del Salvini-due che abbiamo sotto gli occhi e nelle orecchie da un certo numero di mesi (grazie anche alla banalità dei media a cui il leader leghista porterebbe qualche decimale di share in più), c’è stato un Salvini-uno che forse il Corriere della Sera, per la memoria del suo editorialista, non ricorda perfettamente perché all’epoca si occupava d’altro. Noi, invece, che lo avevamo praticamente sotto casa, a Milano, delle sue prodezze abbiamo ricordi, se non proprio incancellabili visto il livello del soggetto, comunque ancora vividi. E ci piace sottolineare come proprio i meridionali, più precisamente i napoletani, fossero uno degli obiettivi sensibili preferito da quel ragazzetto razzista e un po’ fuori di zucca. Queste e altre prerogative – via Radio Padania – sono state per anni il nutrimento “intellettuale” di questo nuovo leader d’Italia.

Per tornare al lupo. Era abbastanza prevedibile che il malaugurato giorno in cui il Salvini giovane leghista si fosse trasformato nel Matteo Salvini segretario di un partito, con tutto il carico di responsabilità del caso, molti non avrebbero dimenticato il suo pregresso, anche perché quando il racconto della nostra vita corre sul filo del rancore razzista, le persone sono molto poco disposte a perdonare, a passarci sopra e “a dare la vita perché tu le possa esprimere” (le tue idee).  E infatti. Nel momento in cui il nostro ha cominciato a pensare allo “sbarco italiano” nel suo complesso, comprendendoci anche la terronia che fino a qualche tempo prima aveva letteralmente schifato, la terronia invece si è ampiamente ricordata di lui. Credeva di non pagare dazio, Salvini? No, è chiaro che aveva messo tutto nel conto, pernacchie, insulti, vaffa e anche qualche schiaffone. Perchè il ragazzo è sveglio e non vive sulle nuvole. Ma credeva anche che il nuovo vessillo sbandierato – gli extracomunitari da cacciare via – in qualche modo comprendesse e superasse quel pasticcio in salsa napoletana di molti anni prima. Non andò così. I napoletani non dimenticarono e ritrovatolo nelle propria città, ce lo «mandarono» con gli interessi.

Qui dobbiamo intenderci, cosa significa “dare la vita perché tu possa esprimere le tue idee”? Prendiamo uno degli esempi più estremi: i negazionisti della Shoah. In questo caso un intellettuale è chiamato certamente a uno degli sforzi più impegnativi della sua vita, dovendosi battere perché certe orribilità elevate a letteratura abbiano comunque dignità d’essere diffuse. Difficile pensare a uno slancio più liberale, al rispetto pieno di quel sacro principio. Scendendo poi sulla terra, e bazzicando il malinconico nulla dei nostri politici italiani, dobbiamo ricordare che qualche mese fa il Partito Democratico (sì, il Partito Democratico) ha votato per la galera ai negazionisti. E per fortuna si è levata in dissenso la voce di una scienziata conosciuta all’estero come la senatrice a vita Elena Cattaneo. Quindi di che cosa stiamo parlando?

Ma tornando a Salvini. Il suo diritto pieno a enunciare programmi, idee, proiezioni del pensiero, non è comprimibile. E va dunque garantita la possibilità ch’egli possa rappresentarli in ogni dove (che poi interi battaglioni di fanti, sino a una cifra di ottomilaquattrocento e rotti, si debbano smarronare le sue quotidiane evoluzioni non è da paese normale). Ma attenzione: in un paese civile deve essere consentita anche la contestazione, fino a prova contraria. È consentita (badata bene: consentita, non tollerata) non a freddo, perché la contestazione preventiva è fascista, ma solo se nasce esattamente da quella favoletta “al lupo, al lupo”, per cui decidere che cose dette e fatte in passato da quel personaggio, in quel momento gli andranno anche rumorosamente ricordate. O volete spacciare la contestazione per violenza? Basta aver bazzicato qualche piazza per saperne bene (molto bene) la differenza. Va detto, e anche questo è chiarissimo, che in certe occasioni invece violenza c’è stata e contro la violenza non c’è la rappresentazione più ferma dell’ordine pubblico. Ma sempre per parlare di ordine pubblico. Non si deve garantire la sicurezza a chicchessia, e dunque neppure a Salvini, quando la radice di un’iniziativa deriva in maniera sin troppo smaccata dalla provocazione, perché in questi casi la Questura ha l’obbligo di negare i permessi. Esempio concretissimo: la visita di Salvini al campo rom di Bologna.

Insomma, che neppure l’ultima ruota del carro tra gli intellettuali d’Italia abbia sottoscritto la miseria di un appello non è poi questa gran cattiva notizia.

TAG: antonio polito, libertà di parola, matteo salvini
CAT: Partiti e politici

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