Eliminare il Pd nella testa degli elettori. Il piano di Renzi parte da qui

18 Luglio 2015

I piani di Renzi per cambiare il Partito Democratico spesso si nascondono nei sogni dei suoi stessi elettori, i quali, interpretando il furore liquidatorio del capo, lo (ri)proiettano – moltiplicato – senza troppi inutili indugi. Piccoli Renzi crescono, dunque, e se esiste una mutazione genetica dell’elettore piddino è proprio in questo trasferimento di “sentimenti” che si nutre sostanzialmente di due elementi primari: il primo è il non-riconoscimento di alcun passato storico e politico della sinistra prima dell’avvento del renzismo (tutto da stabilire se fra molti anni il renzismo sarà considerato “sinistra” dagli storici). Questo è un dato sufficientemente clamoroso per essere apprezzato anche da un osservatore distratto: se esiste una grande storia politica, l’unica che i libri possono ancora contenere, è la grande storia della sinistra.

Ecco, di questo enorme patrimonio, che comprende mille e mille sollecitazioni (non tutte ovviamente positive), Matteo Renzi nei suoi discorsi non utilizza mai nulla. Non un richiamo, non il senso di un grande popolo, non le moltissime situazioni in cui la sinistra si è fatta argine democratico, non il richiamo a una dignità collettiva, alla storia operaia, non ai suoi uomini e donne che hanno rappresentato un grande esempio per il Paese. Niente di niente. È naturalmente un atteggiamento studiato e voluto, è l’operazione-distacco che scientificamente il segretario ha inaugurato sin da subito, anche – ciò gli dev’essere attribuito – con una certa coerenza. L’obiettivo finale sarà quello di poter dire, anche con un certo orgoglio, che Matteo Renzi “non ha mai sputato nel piatto dove ha mangiato”, non essendoci più né quel piatto e neppure la zuppa saporita a cui molti, un po’ per abitudine un po’ per stanchezza, si erano affezionati.

Il secondo elemento è la disinvoltura liquidatoria con cui il segretario intende rimuovere le «statue» che raccontano quel periodo. Rimuoverle e quando riottosamente avvinghiate a un palo, persino abbatterle perché ormai di nessuna utilità al partito e alla sua nuova storia. Sotto questo cielo, siamo in una fase «di mezzo», in cui il nostro non ha ancora calibrato le forze. Crede cioè troppo disinvoltamente che la storia non conti più nulla, convinto che metterci semplicemente facce, le facce che sceglie lui, che però non hanno alcuna storia, né la rivendicano, sia bastevole a vincere le battaglie che si giocano in campo aperto (quelle in cui decidono ancora gli elettori). Qui il piatto piange, perché le situazioni gli hanno dimostrano che a vincere sono ancora persone che una storia la rivendicano, o quanto meno riconducibili, nella testa dei cittadini, a un certo nobile passato. Il passaggio del fiume, da una sponda all’altra, non sarà affatto semplice, anche perché molti elettori vivono il voto ancora sul piano emozionale, che significa comprendere storie, decoro, solidarietà, richiamo a quel certo grande partito (che anche se non esiste più mantiene un richiamo immaginifico).

Per tornare ai nuovi elettori, ai renziani in servizio permanente effettivo, agli ufficialetti che ne riproiettano le fantasie. Ne abbiamo scovato un paio perfetti sui social per comprendere di cosa stiamo parlando, intenti a scambiarsi affettuosità per conto del capo, a immaginarne mondi nuovi, a buttare a mare questo e quello, insomma a picconare allegramente il vecchio partito che peraltro gli ha dato la grazia di esistere. Qui di seguito l’illuminante dialogo, che ha come centro la questione Roma-Milano in vista delle elezioni prossime.

Parlano M e R. Dice M: «Sai che nonostante ciò che dice, e sui cui concordo, non è tanto facile invece perdere sia a Milano che a Roma se non sono dannatamente imbecilli e se scansano quella cosa che si chiama Pd. Solo che bisogna trovare dei De Luca ;-))))» Risponde R.: «Esatto: l’essenziale è eliminare il Pd. Ma lo farà?»

Poche, impeccabili, righe per regalarci i contorni di questo nuovo renziano che con piglio manageriale sostiene l’eliminazione del Partito Democratico. Naturalmente più si è destri, in maniera anche ridicola e scomposta come avete potuto leggere, più ci si è baloccati con la sinistra sin dai tempi comunisti, ovviamente. Poi fu la folgorazione quel bel giorno che arrivò Berlusconi, ai quali i nostri eroi guardarono con ammirazione estrema, persino con accenti da lustrastivali, vivendo comunque la sottile inquietudine d’essere destri dentro ma ancora sinistri (o parzialmente) sinistri fuori. E così si è andati avanti per un ventennio di B., mai veramente fieri di amarlo ma con la sicurezza interiore che quella sinistra gli avrebbe fatto schifo per l’eternità. L’arrivo benedetto di Renzi fu la fine di un’angoscia, di un tormento. Quei bravi ragazzi avevano finalmente trovato un tetto di stelle sotto cui riparare senza doppiezze e contorcimenti, l’uomo manteneva la barra a sinistra, almeno ufficialmente, ma i modi, gli stili, molti dei contenuti, appartenevano a una certa destra di cui finalmente andar fieri. Fino al punto estremo e liquidatorio di immaginare l’unica cosa sensata per il buon Matteo: eliminare il Pd. Ce la farà?

TAG: Matteo Renzi, partito democratico
CAT: Partiti e politici

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