Ha comunque vinto Trump
Ora che la vittoria di Biden è certa, si può dire che l’area politica del presidente uscente ha confermato il modello politico da lui introdotto. Il liberalismo dei democratici è privo di idee e soluzioni alle crisi interne attuali. Anche se hanno insediato una loro presenza fantasmatica alla Casa Bianca, ci sono riusciti solamente nell’intento di boicottare quella profonda spaccatura nel paese che si incarnava in Donald Trump, un effetto e non il problema. Lo slogan era “votate blu, non importa chi”, come a dire non importa che cosa vi proponiamo ma Trump è una disgrazia. Ma Trump è come una candela in una stanza buia piena di ingombranti mobili dagli spigoli aguzzi e taglienti. Quella stanza è il futuro degli USA e il debole soffio di un ottantenne ha spento la candela arancione su cui si concentrava tutta l’attenzione, invece di dirigersi alle insidie attorno. Paradossalmente quella candela proiettava luce sul difficile futuro lasciandolo intravedere nella penombra già nel 2016, ma le falene democratiche non l’hanno scorto per la foga di soffiarci sopra.
Le necessità sociali e politiche che hanno portato Trump alla vittoria quattro anni fa sono rimaste, si sono alimentate e la risposta di Trump a queste è arrivata nuovamente vicina alla conferma elettorale, sicuramente vincendo e convincendo metà del popolo americano che ha votato, per quanto sbagliato possa sembrare. Ora i democratici si trovano a lavorare su quelle che ormai non sono più solo contingenze, ma faglie profonde nel dominio dell’ideologia neoliberale che è la stessa ad aver creato la situazione odierna e non la può risolvere senza snaturarsi, e quindi annullarsi. La crisi profonda dell’egemonia di pensiero che ha dominato il mondo dopo la Guerra Fredda per ora trova come unica risposta la destra più reazionaria e irrazionale. Così in USA come in Italia.
Lo fa senza affrontare davvero i problemi, ma esaltandoli e ponendosi nella maggioranza della spaccatura, la parte più potente che schiaccia e opprime la parte debole. Se lo può permettere per l’inerzia sociale e politica che il sistema neoliberale ha esaltato in precedenza e ripercorrendone perciò le stesse vie, cambiandone la semantica e strutturandosi dove le fondamenta erano già preparate. Nel frattempo ci sarà una profondissima crisi economica e sociale, e perdurerà la crisi sanitaria ancora lunga e terribile. La risposta dello status quo è stata di mettere una persona di facciata per far controllare il governo al resto del partito e delle sue strutture. Joe Biden è un uomo bianco e anziano, parte della classe ricca e dell’élite politica, con una posizione di destra moderata e che arriva alla vittoria spinto dall’anti-trumpismo. Anche lui è parte della maggioranza della spaccatura: nella minoranza, negli oppressi ci sono i non bianchi, i giovani, le persone che faticano economicamente, la questione sociale e razziale insomma. Nulla di questo appartiene al capo politico della vecchia potenza egemonica mondiale.
La crisi del liberalismo risponde che non è possibile cambiare. Non ha soluzioni ai problemi odierni e quindi va mantenuto in rotta il sistema seguendo la linea già tracciata. Vedremo in futuro come si adatterà alla perdita di equilibrio interna e alla contestata posizione di primo impero mondiale. Ma la destra trumpiana nonostante le resistenze interne dei vecchi repubblicani, come il defunto John McCain, ha chiesto a gran voce popolare che sia la loro la linea di pensiero del futuro. Seguono la strada già definita delle linee di frattura, e queste prevedono un recupero dell’irrazionale: per anni si è imposta una razionalità di origine economica, verso un equilibrio mondiale che è franato sotto il peso delle contraddizioni interne a questa razionalità, che alla fine si dimostra assurda e irrazionale per la stessa testardaggine. Serve un radicale cambiamento come chiedeva il popolo, nel modo sbagliato, eleggendo Trump. La destra reazionaria che traccia il solco ideologico del cambiamento, nei vari paesi con le rispettive declinazioni, vuole il recupero di questa irrazionalità, vuole esaltarla e imporla, farne strumento di dominio. La si ravvisa facilmente, a partire dall’elezione di un miliardario come simbolo di rottura dall’élite, fino ad arrivare ai deliri di Q-Anon.
Oggi vediamo quindi la conclamazione popolare della crisi già nota del liberalismo, che non sa rispondere a quello che prima era indefinito populismo e ora è sempre più estrema destra. Le élite culturali ed economiche sorreggono ancora la stabilità morente e per questo oggi strappano una vittoria di Pirro. Lo spazio a sinistra ci sarebbe ma la frammentazione e la lunga fame politica non trovano ancora corrispondenza in una “lunga marcia”. La fiducia di trovare il cambiamento nella politica istituzionale si sgretola ed emergono vari aspetti di chi ancora si illude e di chi cerca nuove o vecchie risposte. Come quelle anarchiche o marxiste in costante crescita, sebbene senza la forza di definirsi ancora soggetto protagonista. Nel frattempo un uomo vecchio si aggira nella stanza buia, e l’idra senza testa dell’estrema destra si aggira ancora viva e vegeta pronta a divorarlo. Prima che nuove fiaccole cauterizzino la decapitazione, ed illuminino il futuro.
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