I deputati del Pd in tv hanno il terrore di essere se stessi (e non Renzi)

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7 Luglio 2015

Il vecchio e stanco Silvio B., che di Renzi è una sorta di papà adottivo, i suoi ragazzi li formava in Viale Isonzo a Milano, dove aveva piazzato telecamere, registi e motivatori Fininvest per esaminare la predisposizione “cinematografica” dei suoi candidati, cercando di cavarne anche qualcosa di buono sul piano dei contenuti politici. La scuola di Milano 2, dunque, addestrò moltissimi di quelli che poi fecero l’avventura di Forza Italia e chi oggi, a distanza di vent’anni, dovesse negare quel provino sarebbe spergiuro e fors’anche ingrato. Già allora erano presenti tutti gli ingredienti della comunicazione, non molto diversi da quelli di oggi, mantenendo – la televisione – il suo ruolo di “formatore” di coscienze fragili. Già allora, le trasmissioni televisive parevano l’indispensabile corollario all’azione politica, per cui era indispensabile scegliere con cura i Replicanti che avrebbero diffuso il verbo del Capo. Restano storici alcuni passaggi-chiave della piccola storia televisiva di questi anni, come il faccia a faccia a «Linea Tre» tra le squadre di Prodi e Berlusconi, sul filo del pareggio sino ai minuti finali quando un intervento della Melandri sulla visione classista del Polo rispetto a Sanità e Welfare scombinò i piani della destra consegnando la vittoria a Romano Prodi.

I passaggi che spostano voti sono pochissimi nella storia politica, soprattutto di questa nostra storia recente che per un lungo periodo non ha previsto avversari (a Matteo Renzi).  Non godere di avversari porta con sé naturalmente un certo periodo di spensieratezza che ben presto può trasformarsi in un’angoscia. Paradossalmente in un senso di oppressione, in cui sulla distanza medio-lunga l’aria comincia a mancare perché ogni riferimento, ogni parallelo, ogni confronto tende a sbiadire, ad annullarsi nella feroce personalità del capo. Di questo aspetto, Matteo Renzi si è reso conto con una certa sollecitudine, tanto che, narrano i suoi narratori più attenti, ha sempre cercato una via politica al nemico, che fossero i sindacati, il vecchio retaggio comunista, la conservazione, gli insegnanti e molto altro incontrato sulla sua strada. Ma, ahilui, non ha mai avuto un vero, franco, diretto, nemico politico. Né avrebbe potuto esserlo, con la fierezza dei giorni migliori, quel leone spelacchiato di Berlusconi ottantenne, con cui, infatti, Renzi fece il ben noto patto del Nazareno.

I nemici di Renzi sono ora qua ora là, nessuno con una personalità tale da poterlo insidiare. L’avversario più ostico è evidentemente se stesso e non c’è combattimento più insidioso, più infido, più pericoloso sulla lunga distanza. Perché tutte le sicurezze, le borie, le manie, i tic, le gigionerie, gli inciampi di un percorso politico intricato come quello del premier, si riverbereranno inevitabilmente sulla sua immagine. Prendiamo la sua considerazione fuori dall’Italia. Nonostante il suo perenne agitarsi, una rilevazione di qualche giorno fa lo dava malinconicamente in fondo alla lista dei premier europei, con un’incidenza prossima allo zero. Evidentemente c’è da ricalibrare qualche tassello.

Giusto ieri, il segretario del Partito Democratico ha sentito la necessità di convocare i suoi deputati per mettere a punto una nuova strategia comunicativa. Il cattivo risultato delle amministrative deve aver portato consiglio, Renzi si deve essere convinto che il Pd comunica male, comunica male soprattutto ciò che fa di bene. Il paradosso sta qui. Sotto questo aspetto, avere nell’esercito dei buoni soldati è fondamentale, sono i tuoi interpreti, portano in giro le tue idee, sono traduttori simultanei di un mondo, di un’idea complessiva. Non è molto diverso da una squadra di calcio, di basket, di pallavolo: c’è un allenatore, poi un gruppo di giocatori ai quali trasferire gli stimoli.

L’altro giorno era pubblicata su Repubblica una bella intervista di Dario Cresto-Dina a Massimiliano Allegri (le interviste belle sono poche sui giornali), in cui per la prima volta il tecnico bianconero si apriva al privato e offriva qualche squarcio illuminante sul suo rapporto con i giocatori. Ecco, ora pensate al Pd e al suo allenatore Renzi. Cresto-Dina chiede al tecnico il segreto per farsi ascoltare e Max Allegri la mette giù così, sostanzialmente (le licenze poetiche sono personali): entri in spogliatoio e trovi venticinque milionari con le cuffie in testa che non ti cagano di pezza, immersi come sono nelle loro cose. A quel punto devi trovare una via per importi, per trasferire la tua autorevolezza a queste teste di cazzo. La mia, dice Allegri, è quella di dirgli che mi devono ascoltare perche sono il più vecchio.

Ecco, è una chiave quasi paradossale, da branco, ma evidentemente funziona. I suoi giocatori “sentono” il peso dell’età con relativa esperienza. Ora prendete Renzi e i suoi deputati. Il meccanismo è lo stesso, ce ne sono un sacco a cui non frega una mazza di nulla, che sono lì per la cadrega, insomma idealmente hanno tutti (o quasi) le cuffie in testa. Come può fare il coach a stimolare questi principini e a farli rendere al meglio? Nel corso dell’incontro con i suoi deputati, Renzi ha usato metafore sportive, ha parlato di “catenaccio” e di “tiki-taka” come di meccanismi difensivi che non rendono, nei talk televisivi bisogna puntare la porta, e sperabilmente metterla dentro.

Sempre nell’intervista a Max Allegri, c’è un altro aspetto di assoluta importanza e riguarda la capacità di essere duttili, l’interpretazione del momento, lo sfruttamento della fantasia, la capacità di “scartare” dalla banalità. Dice il tecnico bianconero che molto poco di quanto prevedi nel lavoro settimanale, poi avrà una evidenza solare in partita e ne fa un esempio straordinario: “In allenamento la nostra capacità realizzativa subisce un depauperamento dal trenta al cinquanta per cento anche quando giochiamo contro le sagome».

In questa immagine calcistica c’è la chiave della comunicazione politica. Applicata al popolo renziano, è l’idea plastica dei replicanti che utilizzano soltanto i “font” del capo (e poco o niente di se stessi), per cui non essendo farina del proprio sacco non prevedere mai uno stacco di fantasia, un momento di liberazione, una divagazione sul tema. Sempre e solo le parole, le immagini, i simboli di Renzi. Alla fine, dal trenta al cinquanta per cento delle volte, farai una cattiva figura.

 

TAG: Matteo Renzi, partito democratico, Pd, scuola di comunicazione
CAT: Partiti e politici

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