Il «cretinetti» che diventa Pep Guardiola interroga il Pd e il nostro passato

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25 Marzo 2018

C’è un giochino intergenerazionale molto consolatorio che sta girando in queste ore tra la gente di sinistra che si sente “affaticata dalla vita piena di zanzare”. Intenderebbe, il giochino, tamponare quel senso di nulla politico che attanaglia il Partito Democratico sostituendolo con il maledetto destino, con gli eventi del fato, con un altrove caduto dal cielo sulla terra come un meteorite. Nulla, insomma, che riconduca la disfatta a una seppur modesta logica politica, o men che mai ai propri errori. Solo l’idea di una sfiga planetaria, una sorta di complotto zodiacale che viene da molto, molto, lontano, ma di cui non si comprende l’origine. Da qui, l’elogio della sfiga: dopo la caduta della prima Repubblica, quando si credeva finalmente di poter respirare, “abbiamo avuto il maledetto ventennio berlusconiano”, e proprio adesso che l’amico Fritz sta tirando gli ultimi, ecco spuntare Salvini che si pappa il centro-destra e detta persino le regole del gioco. Ah, destino avverso! Pur intergenerazionale, il giochino dovrebbe almeno mettere in sicurezza le differenze culturali del caso, per cui considerare i due passaggi totalmente diversi tra loro: andare sotto con Berlusconi fu andare sotto con un fuoriclasse assoluto del consenso, andare sotto con Matteo Salvini, il Salvini di cui conosciamo la scarsa attitudine al lavoro e la solerte confidenza con la scemenza, è una vergogna assoluta e senza precedenti. Che sol per questo il Partito Democratico non abbia ancora offerto spontanee dimissioni ai suoi cittadini elettori, è decisamente uno scandalo. Volendo e con un più di un pizzico di masochismo, il giochino potrebbe anche continuare con un’abile proiezione verso gli abissi: dopo Matteo Salvini, da chi si farà stuprare il Partito Democratico?

In queste ore, gazzette e gazzettieri ci hanno consegnato il nuovo Talleyrand nella figura del segretario della Lega. È pur vero che ogni epoca alza o abbassa l’asticella della propria profondità politica a seconda delle contingenze e dunque viva le pagelle del dopo partita al Senato che ci restituiscono questo non smilzo quarantacinquenne agli onori delle cronache. Epperò qualcosa non torna. Qualcosa non torna proprio nell’idea che sovrintende alla politica, almeno a quella a cui ci siamo abituati. Che un tempo comprendeva memoria dei fatti e delle sensibilità. Il percorso di questa memoria compone e definisce generalmente un giudizio complessivo sui personaggi che via via scorrono di fronte ai cittadini, i quali, con un passato alle spalle e un presente ben visibile, possono decidere il loro meglio. Nel caso di Matteo Salvini questo processo non si è neppure messo in moto, altrimenti qualcosa avremmo ricordato. Avremmo ricordato, per esempio, tutto il tempo del colera e dei napoletani, che accompagnò il ragazzo Matteo a Radio Padania e poi in giro per il nord-est. In quegli anni, non fu difficile considerarlo un cretino integrale anche da parte dei maggiorenti leghisti dell’epoca, oltre che da più modeste posizioni intellettuali come la nostra.

Non gli facemmo credito d’un qualsiasi riscatto sociale, e oggi che lo rivediamo riconsegnato alla Storia come un Pep Guardiola della politica, dovremmo concludere che la sua rivincita nei nostri confronti è di una spietatezza senza pari. Perché noi non si partiva da quella supremazia morale che spinse il Partito Comunista a considerarsi migliore degli altri per definizione, nelle arti, negli studi, nell’etica e di conseguenza anche nella politica.

Al che sarebbe stato gioco facile rispondere che quell’atteggiamento aveva creato mostri e diseguaglianze intollerabili. No, più semplicemente si ragionava da osservatori dei sentimenti umani, senza altre pretese che quelle espressamente richieste dal nostro povero mestiere di cronisti.
È però cambiato qualcosa di radicale nell’osservazione dei cittadini rispetto alla politica. La memoria – con la m maiuscola o minuscola non importa – non ha più alcun valore. Non è più contemplata tra le opzioni che possono formare o modificare il consenso. Si agisce solo per via contemporanea, esiste solo l’esame del nostro presente, qualunque forma di considerazione nasce da lì, da ciò che ci accade in quel preciso istante. Il giorno prima non esiste, il giorno dopo è un futuro persino troppo lontano. In questa bolla non sono contemplate che le storie personali del momento e nessuno s’azzardi a ricordare quelle collettive del passato (i custodi del santo sepolcro di sinistra – i Leu – abbiamo visto come sono finiti). Del resto, ci si battaglia come forsennati solo sui social, dove quotidianamente milioni di segaioli spintissimi si danno appuntamento come in palestra. È esattamente in questo contesto che è (ri)nato il “cretinetti” (cit. Franca Valeri, «Il vedovo») Salvini.

Ora tocca nuovamente al Partito Democratico. Intende riappropriarsi di una storia condivisa, senza inutili nostalgismi, ma con la modernità di chi sa riconoscere le cose buone della sua storia, o, strategicamente, preferisce che la nave s’inabissi sino ai fondali più bassi con la spregiudicatezza ragionata e folle che riconosciamo a Matteo Renzi, al quale farebbe comodo ripescare dei naufraghi incapaci come gli attuali dirigenti del partito?

TAG: matteo salvini
CAT: Partiti e politici

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