Il M5S, piaccia o no, è l’unica forza politica con una visione di destino

:
12 Marzo 2019

Il Movimento 5 stelle ha una visione destinale ed è quello che è emerso a Villaggio Rousseau, la due giorni milanese tenutasi il 9 e 10 marzo al Palazzo delle Stelline. Questa la grande differenza con le altre forze politiche che faticano a ristabilire le cinghie di trasmissione culturali sulle quali aggregare persone dando loro strumenti utili per interpretare il futuro. Il punto è che a mancare non sono solo le cinghie, sono proprio le idee di lungo respiro che su quelle cinghie dovrebbero scorrere offrendo alle comunità che ne fanno parte un’idea di domani. Un appunto sulla Lega di Salvini che spopola nei sondaggi è d’obbligo: il partito del Ministro dell’Interno ha una struttura tradizionale estremamente radicata sul territorio ma non ha un’idea di destino condivisa ed utilizza la connessione emozionale con il leader come massimo godimento per la base. Ecco il motivo della sua necessaria sovraesposizione mediatica.

Tornando alla visione del M5S essa non è cambiata, si identifica sempre con quella del fondatore Gianroberto Casaleggio: la democrazia diretta e partecipata al cui compimento il Movimento 5 stelle non avrà più ragion d’essere. L’idea è forte e non si può dire non ricordi la dissoluzione dello Stato marxista. Infatti, la visione destinale serve a creare il sogno e unire tutti intorno all’oracolo, poi quel che conta è ciò che avviene lungo la strada per arrivarci.

Le cinghie di trasmissione su cui la sinistra riflette all’infinito e la destra ha il fiato corto, a Villaggio Rousseau erano ben presenti, materializzate nella trasmissione dell’unico sapere contemporaneo che conta e che ha la caratteristica di essere sia teorico che pratico, quello tecnologico.

Una due giorni in grado di fornire competenze macro, come la descrizione dei modelli di democrazia diretta e partecipata e micro, come la spiegazione di tutti gli aggiornamenti della piattaforma Rousseau, “vero cuore del Movimento” come ha detto qualcuno: dalla nuova sezione di e-learning al voto su blockchain a sessioni sul funzionamento dei vari moduli (Lex Europa, Lex Regioni, Lex Parlamenro e Lex Iscritti). Inoltre, un hackaton in cui i partecipanti hanno avuto 27 ore di tempo per ideare soluzioni innovative su temi come il diritto all’oblio, l’accesso agli open data governativi e l’organizzazione di gruppi ai bilanci partecipativi.

Nonostante il M5S rappresenti la forza politica più interessante e innovativa tecnologicamente parlando, ci sono due problemi su cui Davide Casaleggio sarà chiamato a prendere delle decisioni: la natura estrattiva di Rousseau, che ha lo stesso modello delle piattaforme private più famose e la segretezza del codice sorgente sono questioni problematiche, soprattutto per uno strumento che vuole essere di “democrazia diretta e partecipata” con inevitabili impatti sulla vita pubblica. Non dimentichiamoci che il Ministro Salvini non è stato processato per il caso Diciotti proprio per l’esistenza di Rousseau.

Tuttavia, il punto focale della riflessione non riguarda i problemi di governance della piattaforme a cinque stelle ma la capacità di una forza politica di stabilire un rapporto con i propri elettori basato sulla trasmissione di competenze sullo sfondo di una visione comune. È una questione estremamente importante per la costruzione di una comunità densa e coesa, merce rara di questi tempi. Sappiamo che le scuole di partito non funzionano più dai tempi delle frattocchie, poi solo timidi tentativi attraverso la divulgazione di un sapere classico che nulla è in grado di dire, se non riattualizzato, sulle trasformazioni del nostro tempo. In fondo però, ciò che dovrebbe fare un partito è riuscire ad offrire un orizzonte di senso alla comunità che lo abita e, sul breve periodo, a fornire soluzioni concrete ai problemi che via via si presentano.

Tuttavia, osservando il panorama politico che ci circonda e alla luce del programma andato in scena a Villaggio Rousseau, viene da chiedersi: il sapere Politico che circola all’interno delle organizzazioni partitiche può permettersi oggi di non essere anche sapere tecnologico? O meglio, un sapere per offrire una visione di destino propria della politica, può oggi non includere la tecnologia come pratica e come teoria?

Considerando la crisi profonda che stanno attraversando i partiti tradizionali in tutto il mondo verrebe da rispondere di no senza esitazione. Ma chissà, dopo questa legislatura avremo sicuramente le idee più chiare.

 

TAG: lega, m5s, partiti, Pd, Rousseau
CAT: Partiti e politici

7 Commenti

Devi fare per commentare, è semplice e veloce.

  1. federico.gnech 5 anni fa

    Al parallelo Marx-Casaleggio ho capito che doveva trattarsi di satira. Bravissimo, davvero, ho riso di gusto.

    Rispondi 3 0
  2. alec84 5 anni fa

    La visione “destinale” del m5s è la democrazia diretta? Cioè una modalità di democrazia.
    E io fesso che pensavo che i partiti dovessero avere che so, puntare a ridurre le disuguaglianze o a dare più libertà alle imprese o a difendere i sacri confini dall’invasore…
    Invece no, basta avere una “visione destinale” che è un diverso modo di intendere la democrazia.

    “il Ministro Salvini non è stato processato per il caso Diciotti proprio per l’esistenza della piattaforma Rousseau”: cos’è, una battuta? Di Maio aveva già deciso che non aveva ancora voglia di tornare a Pomigliano d’Arco e quindi ok, niente processo a Salvini. Poi hanno fatto un televoto finto e comunque con una chiarissima “risposta giusta” da dare.
    Peraltro, senza possibilità di accesso agli atti, la decisione sul caso Diciotti è una involuzione del “Gesù o Barabba”.

    Rispondi 3 1
  3. marco-morosini 5 anni fa

    Suggerisco di smontare l’equivoco, trapiantato ormai nel lessico italiano, che “e-voting” voglia dire “democrazia diretta”. Lo dico dalla Svizzera, dove, con la democrazia diretta, si vuole vietare l’e-voting ( https://www.glistatigenerali.com/governo_parlamento/caso-salvini-le-votazioni-in-internet-democrazia-diretta/ ) Secondo la visione digitalista, l’uso delle tecnologie digitali allarga la partecipazione civile a “tutti i cittadini”. Ma ciò non è vero. Infatti, il modello politico “tutto digitale” taglia fuori in Italia milioni di persone che non hanno il denaro o la capacità per fare un abile uso di un computer e di internet. Costoro, infatti, non sono in grado di iscriversi al partito, di partecipare alla sua attività e di partecipare alle sue votazioni. Il 5 stelle, quindi, non è un partito di “cittadini”, ma è un partito di user, ovvero di abili utenti dei computer e di internet. È sorprendente che né dentro né fuori dal Movimento nessuno faccia notare la contraddizione tra l’aspirazione universalistica e la realtà di fatto elitaria del partito digitale. L’universalità del diritto di partecipazione politica è abbastanza recente e fu raggiunta solo quando cessarono le discriminazioni che consentivano di votare, per esempio, solo a chi possedeva terreno o un certo reddito, o era di sesso maschile. La limitazione dei diritti politici agli user, quindi, non è un progresso del metodo democratico, ma ne è un regresso. Anche il profilo della popolazione ne è stravolto: gli users sono più uomini che donne, più ricchi che poveri, più istruiti che poco istruiti, più giovani che anziani, più al Nord che al Sud. Nemmeno per accertare il gradimento di un dentifricio un sondaggista userebbe un metodo deformante come questo. Quando per via di voto digitale si prendessero decisioni che valgono per l’intera popolazione ma che favoriscono più gli uomini, i ricchi, gli istruiti, o i giovani, a scapito degli altri, il risultato ne sarebbe falsato a vantaggio di alcuni.

    A livello mondiale, restringere la partecipazione politica alle persone abili con i computer sarebbe ancora più problematica perché escluderebbe miliardi di cittadini non digitali. In effetti, 5mila anni dopo l’invenzione della scrittura, più di un miliardo di esseri umani sono ancora analfabeti, ancor più sono analfabeti funzionali, e probabilmente più di metà degli umani è analfabeta digitale. Quanto tempo ci vorrà perché si arrivi a “un computer a ogni persona”? Gli analfabeti e i “non digitali” possono votare da secoli alzando la mano (in piccoli consessi, in villaggi, o nelle Landsgemeinden di alcuni cantoni svizzeri). Essi possono anche tracciare una X su un simbolo in una scheda elettorale, possono partecipare a un partito o a un sindacato. Invece sarebbero tagliati fuori da una politica tutta al digitale.

    Rispondi 4 0
  4. mario-bosso 5 anni fa

    Carissimo Stefano Consonni come puoi vedere ti sei fatto dei “nemici”. Abbiamo il Kompagno gnech al quale non va giù nessun accostamento a Marx tranne il suo. Poi c’è l’italo svizzero che si preoccupa del fatto che i poveri essendo appunto poveri non hanno o non avrebbero la possibilità di collegarsi alla rete per votare e non solo “Costoro, infatti, non sono in grado di iscriversi al partito, di partecipare alla sua attività e di partecipare alle sue votazioni.” Forse ha dei dati scientifici e non ce li vuol far sapere? Quindi poveri e ignoranti ma per quanto riguarda l’Italia i dati dicono che il 73% della popolazione è online (43 milioni di persone) e 34 milioni di utenti sono attivi sui social media. Durante il 2017, 4 milioni di persone in più si sono connesse a Internet rispetto al 2016 (+ 10%), medesima la percentuale di crescita degli utenti dei social (3 milioni in più). Cavolo non mi sembra così disconnessa l’Italia; sull’ignoranza ci sarebbe da aprire un caso a parte anche perché l’essere benestanti non vuol dire essere colti…anzi. Dopo di che abbiamo alec84 al quale sta così tanto sugli zebedei il m5s, e soprattutto Di Maio perché da ex bibitaro è diventato Ministro mentre lui probabilmente laureato con 110 e lode sta ancora li nel paesello in cui è nato. Vero la piattaforma Rousseau non è certo perfetta e sul caso Diciotti il quesito è stato impostato MALE e in modo TENDENZIOSO infatti io votai NO per dire SI all’autorizzazione nei confronti di Salvini. Del resto nella democrazia rappresentativa quante volte siamo stati chiamati a dire si per dire no? E il voto degli italiani all’estero non è forse una bella formuletta per spostare di qua o di la l’ago della bilancia? Per non parlare delle primarie del PD dove uno o una può votare 11 volte in 11 posti diversi. Anche io credo che il M5S abbia tracciato un solco riguardo la partecipazione diretta certo di errori ne ha fatti e ne farà ancora ma come giustamente hai scritto te l’innovazione c’è.
    P.S. A Salvini finiti “i negri” è finita la benzina e quindi deve trovare un altro feticcio, ha provato con la TAV ma pare gli sia andata male se gliene vanno male altre due fa la fine di Renzi.

    Rispondi 0 4
  5. alding 5 anni fa

    Caro Stefano, i giovani, con il loro linguaggio, direbbero: “… ma che cosa ti sei fumato??…”

    Rispondi 0 0
  6. massimo-crispi 5 anni fa

    ottime osservazioni

    Rispondi 0 0
  7. sandro-moro 5 anni fa

    Aggiungerei alle giuste osservazioni di marco-morosini qualcosa di ancor più strutturale (a proposito di Marx…): è iniziata una riflessione critica sulla svolta antropologica rappresentata dal device personale in sè (non solo dalle app ‘social’). Che nel costruire una “macchina” comunicativa tendenzialmente universale, ne rende ogni “connesso” un’appendice alienata e manipolata, un produttore involontario e gratuito di contenuti, e assieme un consumatore istantaneo. Consiglio vivamente la rassegna di studi presentata nello speciale di Presa Diretta “Iperconnessi” http://www.presadiretta.rai.it/dl/portali/site/puntata/ContentItem-60e66850-8f0b-4f3b-807a-9068b533638b.html

    Rispondi 0 0
CARICAMENTO...