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Partiti e politici

Il parlamento dei partiti, non degli elettori: la riduzione dei parlamentari

di Paolo Natale
22 Agosto 2022

Si dice che il voto è il momento in cui gli elettori decidono che li rappresenterà in parlamento, ma da qualche tempo il loro potere decisionale pare regredire sempre più. Nelle prossime consultazioni poi il ruolo dei cittadini nella composizione di camera e senato sarà ancor meno risolutivo. Per due ordini di motivi: il primo è legato alla riduzione del numero di parlamentari e il conseguente ampliamento dei collegi, il secondo alla presenza nel Rosatellum dei listini bloccati. Oggi tratterò il primo dei due punti, domani il secondo.
Per ciò che attiene dunque al primo punto, il passaggio da 348 a 221 collegi uninominali, una riduzione di quasi il 37%, ha avuto come effetto immediato l’allargamento del territorio di riferimento di ciascuno dei collegi e il parallelo incremento del numero dei cittadini che votano in quel collegio. Una situazione questa che sminuisce ancora di più la capacità/possibilità degli elettori di scegliersi il candidato più idoneo, più vicino alla base elettorale.
Il collegio uninominale, in particolare con il voto maggioritario in un unico turno, aveva come scopo prioritario quello di far votare i cittadini il candidato che – in parte indipendentemente dal partito di appartenenza – veniva giudicato più capace di fare gli interessi del territorio, portandone le istanze nel parlamento centrale. In UK, è ad esempio capitato che un candidato che piaceva ai suoi elettori venisse rieletto anche se aveva cambiato partito, passando dai conservatori ai laburisti o viceversa. L’idea di fondo era quella di avvicinare i cittadini al proprio rappresentante, che tra l’altro almeno una volta alla settimana si recava nel territorio dove era stato eletto per rispondere alle domande dei suoi elettori, in una sorta di “accountability” del suo operato.
Anche in Italia, con il Mattarellum, l’istituzione dei collegi uninominali, associati a territori circoscritti, avrebbe dovuto favorire l’instaurarsi di un rapporto fra eletto ed elettori più diretto rispetto a quello che aveva configurato la fase politica precedente, sulla falsariga di modelli adottati con successo in altri Paesi, un po’ come capita nella elezione diretta del sindaco del proprio comune. Nel Mattarellum del 1994, con i due terzi degli eletti attraverso il maggioritario uninominale, il numero di collegi alla camera, ad esempio, erano 475, più o meno uno ogni 100mila elettori.
Con il Rosatellum del 2018, soltanto un terzo dei deputati venivano eletto in collegi maggioritari: da 475 si era passati a 232 collegi, raddoppiando il numero di elettori per collegio. Con la recente riduzione dei deputati, il numero di collegi passa a soli 147, uno ogni 320mila elettori. Al senato, con soltanto 74 collegi, il rapporto diventa addirittura di uno ogni 620mila elettori. È ovvio che le possibilità di “conoscere” i candidati che si presentano nei diversi collegi diviene una sorta di chimera.
Il voto, tranne nel caso di leader politici ben noti a livello nazionale, non sarà pertanto legato anche alla figura del candidato, spesso sconosciuto ai più, bensì al partito o alla coalizione di riferimento. Oltretutto, la scheda a disposizione sarà una sola, al contrario del Mattarellum, per cui non sarà nemmeno possibile operare un voto disgiunto tra partito e candidato, cosa che avveniva nella legge elettorale precedente. In numerosi casi, ad esempio nel 2001, al candidato di centro-destra, gli elettori che avevano votato un partito di centro-destra preferivano quello di centro-sinistra o di terze forze. Tanto che il centro-sinistra aveva costantemente più voti nel maggioritario che nel proporzionale; una situazione che portò la coalizione di Berlusconi a varare il famoso “Porcellum”, una porcata, come la definì il suo stesso estensore Calderoli, per evitare che questo si ripetesse.
In una situazione come quella attuale, dove i rapporti di forza a livello nazionale e sub-nazionale sono ben noti, è ovvio che il voto maggioritario non potrà che seguire la scelta del proprio partito di riferimento, indipendentemente dal candidato presente in quel collegio che, come si è detto, sarà in gran parte sconosciuto dalla maggior parte dei cittadini del collegio. Sappiamo già dunque, “prima” del voto, quale sarà indicativamente il risultato dei collegi maggioritari, senza che gli elettori abbiano voce in capitolo per giudicare in maniera alternativa le possibili “doti” del candidato e scegliere diversamente dal voto proporzionale, anche perché NON possono farlo, essendoci una scheda unica, a meno di tradire definitivamente il proprio partito, favorendo un partito avverso.

Università degli Studi di Milano

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