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Partiti e politici

Il parlamento dei partiti, non degli elettori: tutti nominati

di Paolo Natale
23 Agosto 2022

Ho sottolineato ieri come da qualche tempo il potere decisionale dei cittadini, il loro ruolo nella composizione del parlamento, stia divenendo sempre meno incisivo, per almeno due ragioni. La prima, di cui ho discusso ieri, è legata alla riduzione del numero di parlamentari e il conseguente ampliamento dei collegi.
Il secondo motivo è invece la diretta conseguenza dell’approccio di tutte le leggi elettorali della Seconda repubblica, che hanno sempre negato la possibilità di scelta tra i candidati in lizza nella parte proporzionale, tanto che sia alla camera che al senato siederanno coloro che sono stati decisi direttamente dai partiti: un parlamento di nominati.
Per la verità nella prima legge varata nel 1994, il cosiddetto Mattarellum, le liste bloccate avevano una loro logica. Dal momento che la stragrande maggioranza dei parlamentari era eletta sulla base dei collegi uninominali del maggioritario (per il 66%), dagli esiti a volte incerti, si concedeva la possibilità ai diversi partiti di avere, in particolare alla camera, una quota (ridotta) di personale politico con caratteristiche di maggiore vicinanza alla direzione del partito stesso.
Era la prima scheda, quella del maggioritario, quella che dava maggiore libertà agli elettori, che potevano anche “tradire” la propria coalizione di riferimento, se fosse piaciuto maggiormente un candidato espressione magari di un diverso schieramento. Una logica che, come ho specificato ieri, produceva risultati spesso significativamente differenti tra la parte maggioritaria e quella proporzionale.
Oggi, con un maggioritario ridotto ad un terzo di seggi e con un’unica scheda a disposizione, l’elettore non può più operare un voto disgiunto; è dunque “costretto” a scegliere il candidato della propria coalizione, senza alcun margine di libertà. E, oltretutto, non gli è nemmeno concesso di esprimere una sua preferenza tra i candidati che il partito ha scelto di inserire nel cosiddetto listino.
La sua libertà di scelta è oggi ridotta al lumicino, al contrario di altri sistemi di voto, come quello ad esempio delle comunali: la sola “libertà” che gli rimane è quella dell’opzione partitica, ben sapendo che la sua possibilità di incidere almeno su quali saranno i rappresentanti del suo partito che siederanno in parlamento è praticamente pari a zero.
Con collegi così ampi e i listini bloccati, possiamo già fin d’ora descrivere – basandoci sui sondaggi più recenti – come sarà la composizione della futura camera e del futuro senato, con un margine di errore piuttosto ridotto. Questa è la nostra democrazia partecipativa, oggi.

Università degli Studi di Milano

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