Il popolo del Pd archivia Renzi ma resta in cerca d’autore

3 Marzo 2019

Un milione e 700 mila votanti, per le primarie del Pd, dicono gli organizzatori. Forse anche qualcuno in più. Pochi di meno rispetto a quelli che, nelle malinconiche primarie del 2017, premiarono Matteo Renzi prima di avviarsi verso il massacro delle elezioni politiche. Il primo dato è che il calo di partecipazione alle primarie del Pd, sempre robusto fino alla scorsa volta, è questa volta risicato, contenuto. L’asticella (ancora una volta) era stata tenuta molto bassa, e anche questa volta il Pd può rivendicare un buon successo.

Il popolo del “primo cerchio” – militanti, attivisti, simpatizzanti vicini – si rivela fedele. E a fidelizzarlo, nonostante una campagna congressuale non esaltante, contribuisce sicuramente una maggioranza di governo politicamente e antropologicamente distantissima dall’attitudine educata e posata di chi ha avuto nell’antica leadership di Romano Prodi la sua espressione più piena.

Il secondo dato è tutto nei numeri della vittoria di Nicola Zingaretti. Un politico longevo e per lunghi anni invisibile – longevo perché invisibile, dirà qualcuno – si porta dietro un pezzo importante del popolo, lo stesso popolo, che la volta prima e per qualche anno, aveva attribuito fiducia cieca in Matteo Renzi. Lui che renziano non è stato mai, ma nemmeno anti-renziano davvero, che non si sa mai, oggi funziona da catalizzatore della maggioranza dei consensi interni. Come era successo a Renzi e, prima ancora, a Bersani. Perché quel popolo democratico sembra funzionare proprio così: chiede unità, e ad essa prova a contribuire rafforzando di volta in volta la leadership del più forte, contro le destre, i cinque stelle, l’Italia esagitata di Salvini.

Già, il problema resta il solito, ed è tutto davanti. Quanto questa “festa della democrazia” è in grado di rappresentare un cambio di passo nel paese e nella società? Un’inversione della rotta del consenso, un nuovo mondo che inizia? Pare lecito dubitarne, se non cambieranno le catene di rappresentanza territoriale e di interessi, il rapporto con la società stessa, la capacità di dialogare con il paese che sta fuori dalle grandi città, minoritarie demograficamente eppure sovrarappresentate dal voto delle primarie.

Le questioni sono insomma sempre le stesse. Il Pd, al di là delle contingenze bersaniane, renziane e post-renziane, pure. Ha bisogno di due cose: di giovani e di provincia italiana. Queste primarie, a sentire i primi dato che arrivano dai seggi, confermano che i buchi stanno lì, esattamente dove vincono gli altri.

TAG: Pd, Primarie del Pd
CAT: Partiti e politici

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