Il pubblico ministero non deve chiedere scusa, non siamo a «C’è posta per te»
Puntuale come la morte, ieri sera uno specialino del Tg5 ha bussato nelle case degli italiani più pazienti con l’obiettivo surgelato di mettere sotto accusa la giustizia dopo la decisione della Cassazione di confermare definitivamente l’assoluzione del Cav. per il processo Ruby. La pena di un tempo, quando la battaglia mediatica aveva lo spessore della lotta purissima, si è ormai trasformata in malinconica tenerezza e non si può non vivere con il sorriso sulle labbra questi scampoli ossequiosi di fine ventennio. Li firma, indefesso, Andrea Pamparana che con piglio fiero e doloroso sottolinea le nostre magagne giudiziarie attraverso il calvario berlusconiano. Ieri, però, ai soliti prodotti offerti dall’ammiraglia fininvestiana, piuttosto noti ai vecchi del bosco come noi e onestamente in via di scadenza, si è aggiunta qualcosa di nuovo e di questo dobbiamo certamente ringraziare gli autori.
Al di là della battaglia su Berlusconi che un Ghedini allegro come la morte ha tratteggiato con la solita puntualità, le cose fresche emerse sono le “visioni” di Michele Emiliano, già autorevole magistrato e poi politico a tutto tondo del Pd, sulla responsabilità civile dei magistrati, legge appena sgabbiata e rimessa al centro del villaggio dall’assoluzione di Berlusconi, tanto che da più parti già si chiederebbero oboli in denaro alla giudicessa Boccassini. Già qualche giorno fa, ci era parsa davvero suggestiva la “visione” di Emiliano rispetto a questa sentenza Ruby, quasi fosse ispirato da una misteriosa “Profezia di Michelino”, la quale gli suggeriva la felicissima intuizione secondo cui la Procura di Milano avrebbe dovuto chiedere scusa all’ex premier ingiustamente accusato da quel manipolo di cattivoni. Ora capite bene che “chiedere scusa” è affare più che altro sentimentale e poco si attaglierebbe alle aule di giustizia, piuttosto parrebbe evocare un film strappalacrime ma indimenticabile come “Love story”, la cui frase simbolo era proprio «Amare significa non dover mai dire: mi dispiace».
Ieri nello speciale del Tg5 l’ex giudice Emiliano è tornato sull’argomento e fa sinceramente piacere che gli autori ne abbiano identificato quella vena sentimentale applicata al codice penale che ne fa una persona sensibile e di gran cuore. Con più parole a disposizione, Emiliano sostanzialmente ha detto che i pubblici ministeri debbono farsi carico delle enormi difficoltà delle persone che, ingiustamente accusate, poi vengono assolte, facendo sapere ai medesimi che ne “condividono il dolore”. Una legittima trasposizione giudiziaria di «C’è posta per te», dove divisi da un’enorme busta con la sentenza di assoluzione, i cittadini decidono se aprirla in faccia ai loro torturatori.
Per fortuna. Per fortuna che nella parte del professionista che è, il Tg5 non ha potuto non dare la parola al professor Coppi, se non altro per aver salvato la ghirba al Capo con una strepitosa condotta processuale che ha certamente consegnato alla storia il suo assistito come puttaniere in purezza, ma lo ha riconsegnato pinto e lindo all’Appello e poi alla Cassazione giostrando abilmente nelle pieghe del codice. Il professor Coppi, che non si fa mai invischiare nelle beghe politiche e avvertendo puzza di qualcosa, ha detto parole chiarissime sulla responsabilità civile dei magistrati. Nel caso del suo processo, ha parlato di “dinamiche processuali”, ha sottolineato la normalità di una situazione in cui un pubblico ministero vince e perde nei vari gradi di giudizio e quando perde, se la sua condotta processuale è estremamente professionale, è inimmaginabile chiedergliene conto sotto il profilo civile con una richiesta di danni economici. Ci vogliono errori marchiani, ci vuole acclarata malafede o incuria evidente. E allora sì che la responsabilità civile interviene.
Questa visione secondo cui un pm “deve” chiedere scusa a un imputato, se l’accusa non prevale, è fuori da ogni consesso democratico. Non solo è demenziale, è pericolosa, distorce il rapporto tra giustizia e cittadini, introduce elementi sentimentali che nulla hanno a che vedere con l’esercizio di una professione. Anzi, meno sensibile alle emozioni è, più un pm potrà vivere con saldezza ed equilibrio i soprassalti dell’animo a cui sarà certamente sollecitato incontrando sulla sua strada storie strazianti e dolorose. Quelle scuse che Emiliano evoca come fosse «C’è posta per te», in una democrazia compiuta si chiamano risarcimento, se ne occupa lo Stato quando è Stato. Ma è proprio su questo punto che il dibattito, purtroppo, rimane aperto.
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