Il redditometro di destra, l’Imam di sinistra e altre assurdità

26 Maggio 2024

La settimana che finisce è la terzultima prima del 9 giugno, data delle elezioni europee. Quella che inizia dunque, per forza di cose, è la penultima. Il dibattito politico che ci lasciamo alle spalle e che – c’è da scommetterci – si ripresenterà di qui al voto ruota attorno a due questioni fondamentali: il fisco e la riforma costituzionale. È in fondo dai primi anni Novanta, cioè dalla stagione che vide prima l’ascesa della Lega e poi la discesa in campo di Silvio Berlusconi, che le parole d’ordine della discussione politica stanno in questi due campi: le tasse e la forma di governo, entrambe a ben vedere centralissime nel definire il rapporto tra stato e cittadino, tra collettività organizzata e individuo. Se questa, stilizzata, è la teoria, la pratica si concretizza nel day by day dell’azione di governo.  Un’azione che conosce più le regole della comunicazione elettorale rispetto a quelle, più importanti ma meno redditizie, della programmazione politica.

Prendiamo il caso del “redditometro”. Nei primi giorni della settimana scoppia il caso che non ti aspetti: proprio il governo di centrodestra, quello della Lega e dei berlusconiani di quarta generazione, quello della premier Meloni che ha definito le tasse “pizzo di Stato”, starebbe per introdurre il “redditometro”, uno strumento che incrociando molti dati di spesa e reddito dichiarato dai contribuenti può misurare se c’è coerenza tra le due voci, e nel caso in cui manchi far partire verifiche. Una misura che in varia forma, e con diversa invadenza, esiste in diversi paesi europei, e che da quelle parti politiche è sempre stata accusata di vampirismo. A reintrodurlo una norma firmata dal viceministro Leo, Cavaliere e Grande ufficiale della Repubblica, già deputato della Alleanza Nazionale di Fini svariate legislature fa, professore di diritto tributario, classico esempio di alto funzionario in quella Roma nella quale molto è Stato e tutto, ma proprio tutto, è politica. La norma arriva in Gazzatta Ufficiale, qualcuno la legge, e scoppia il casino. Prima sui giornali e poi, naturalmente, all’interno della maggioranza. Con le componenti leghiste e forziste che gridano al Grande Fratello fiscale – che siamo in campagna elettorale, dopotutto – e con Giorgia che in tutta fretta torna indietro, dice che “vuole vederci chiaro” e sospende temporaneamente la misura. Anche il viceministro torna ovviamente su suoi passi e al Festival dell’Economia di Trento oggi dichiara: “Il provvedimento che ho firmato tutela il contribuente ed è mirato ai grandi evasori, perciò bene una riflessione se c’è necessità, come ha detto giustamente la presidente Meloni, di fare un affinamento e di individuare queste due strade, o una precisazione nell’ambito del comma 5 dell’articolo 38 che parla del meccanismo che si basa su certi indicatori di capacità contributiva oppure di una eliminazione mirata a contrastare i fenomeni della grande evasione, che vanno accertati. L’obiettivo è contrastare la grande evasione, i contribuenti onesti non verranno assolutamente toccati, c’è stato un difetto nella comunicazione. Il redditometro non esiste più. Quanto ai tempi, vedremo, intanto abbiamo bloccato tutta la procedura però ovviamente poi i partiti di maggioranza si siederanno e io darò il mio supporto tecnico. Vedremo di trovare una soluzione che convinca tutti, però l’obiettivo è di contrastare la grande evasione”. Chi ha capito una parola, una sola, alzi la mano.  Quel che si capisce è che ogni volta che qualcuno pensa a misure per la lotta all’evasione deve autoaccusarsi pubblicamente di essere un pirla. Se lo fa in campagna elettorale l’autoaccusa non basta, è consigliato il cilicio. Non sarà per colpa del redditometro, o certo non solo per lui, ma Giorgia sembra stando agli ultimi sondaggi pre-Europee meno tonica. Attorno alle percentuali delle politiche, e cosi anche Lega e Forza Italia, in quest’ordine. Un po’ meglio il Pd, ma insomma, non proprio in grande spolvero. Se fosse così, la sera del 9 giugno avremmo una fotografia di un paese congelato, fermo immobile. Nel quale nessuno domina, e nessuno crolla.

Forse per “parlare d’altro ”, come spesso sembra fare quando torna sul tema, Meloni è tornata nei giorni scorsi sul premierato. Sta diventando un diversivo ripetitivo, che presto richiederà altri diversivi. Ha ridetto che lei non è a Palazzo Chigi per salvarsi la sedia a Palazzo Chigi, appunto, ma per salvare l’Italia. E che senza una riforma che dia vero potere a chi governa in forza del voto tanto vale tornare a fare con più tempo e concentrazione e relax la madre di una figlia che vede un’ora al giorno. Sarà per un limite culturale o di chi comprensione da parte di chi scrive, ma non pareconcepibile che i problemi dell’Italia, della sua industria, della sua demografia, discendano davvero dall’elezione più o meno diretta di chi la guida. È un’illusione ormai risalente, quella di risolvere i problemi cambiando i sistemi, e tutte le volte a contraddire questa retorica sono anzitutti gli elettori italiani che continuano a non affidare plebiscitariamente a nessuno la loro fiducia, quando si tratta di elezioni politiche. Infatti, anche la riforma Meloni punta a premiare in termini di seggi chi perde meglio degli altri le elezioni. Sarà la soluzione? Giorgia ha detto “o la va o la spacca”. Vuol dire che, se la spacca, lascerà la politica (cit.)?

Sarà una riforma istituzionale e costituzionale a rendere, ad esempio, più lineare il nostro posto nel mondo? Nel mondo di relazioni internazionali sempre più stressate da guerre limitrofe che penetrano in profondità nelle pieghe delle nostre società. Prendiamo l’ennesima, possibile svolta, della guerra russa contro l’Ucraina. Stoltemberg, segretario generale della Nato, l’unico “luogo” internazionale di cui facciamo parte e che ha esplicite funzioni di difesa militare, chiede di togliere il divieto tuttora vigente per l’Ucraina di utilizzare le armi fornite dagli alleati per colpire obiettivi militari in Russia. In sostanza, chiede che le armi europee e americane siano utilizzate per colpire direttamente il nemico russo a casa sua, e non solo quando è lui che colpisce in casa d’altri. Salvini, Tajani, Conte e invero diversi politici di mezza europa frenano. Una chiarezza di linea sembra necessaria. L’avremo quando Giorgia sarà stata eletta direttamente, o sarebbe giusto pretenderla anche adesso, e ancor più giusto sarebbe concederla ai cittadini elettori?

Ora è guerra di armi, altre volta, in casa ci entra la guerra di idee. È il caso della polemica attorno all’arringa dell’Imam Brahim Baya che, all’Università di Torino occupata dai movimenti pro-Palestina, di fronte a una trentina di persona “per lo più di origine straniera” – si legge sulle cronache – ha esaltato la resistenza palestinese in chiave esclusivamente jihadista, ha definito come occupazione illegittima e da combattere con la guerra santa ogni forma di sionismo, anche quello precedente alla Nakba (cioè allo spossessamento delle loro case di un milione di palestinesi avvenuto nel 1948, quando nacque lo stato d’Israele). Un discorso ormai classico, nel quale l’estremismo islamista si concretizza esplicitamente e senza distinguersi alla causa palestinese. Senza che per la causa palestinese stessa sia concessa o anche solo immaginata un’altra radice, un altro sguardo, un’altra appartenenza se non quella dello Jihad islamico e di una società liberata dal sionismo per essere contestualmente islamizzata. Cosa c’entra tutto questo con la giusta, sacrosanta empatia degli studenti laici e di sinistra con la Palestina? Nulla, di per sè. Ma nella perdita di ogni orizzonte di appartenenza politica, di ogni sguardo complessivo su cosa sia una società giusta per tutti, nel rifiuto della complessità che riguarda tutti i fronti in campo, in ogni campo, e nella semplificazione che non ha bisogno di cultura, le risposte diventano univoche. Da un lato, si sta contro il nemico sionista e colonialista, e fa niente se i compagni di viaggio sono imam che incitano all’odio e credono a una società misogina e antidemocratica. Dall’altro si sta con l’unica democrazia del Medioriente, e fa niente se ha sepolto nella macerie 35 mila umani, per lo più donne e bambini, e con loro quel che restava – poco, invero – della credibilità del diritto internazionale.

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CAT: Partiti e politici

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