BIBBIANO – Gli angeli e i demoni di Bibbiano, a un mese dall’arresto del sindaco Andrea Carletti, sono ancora tutti lì. Seduti sulla corona di umidità che circonda la bassa reggiana, e il piccolo paese diventato improvvisamente famoso. Sono partito per Bibbiano con l’idea – sincera per quanto può esserlo, quest’idea, in un giornalista – di raccontare altro, ad un mese esatto dai “fatti”: l’economia, l’agricoltura, l’immigrazione. Le eccellenze dell’industria meccanica che sono lì attorno, insomma la società di uno di quei “posti che non contano”, fino a quando contano loro malgrado, diventando famosi per una storia sbagliata. Volevo insomma scrivere di Bibbiano come se “Angeli e Demoni”, l’inchiesta in corso sugli affidi illegittimi e sugli abusi di ufficio, quasi non ci fosse. Ma poi, anche chi accetta di parlarmi proprio con la premessa/promessa che non si parlerà soprattutto di “quello”, finisce col parlare quasi solo di quello. “Avremmo bisogno di un supporto psicologico noi, altro che” ride qualcuno, riconoscendo la dinamica vagamente schizofrenica. Ma è normale, in fondo: la comunità ha vissuto uno choc e l’esposizione mediatica e politica è stata ed è di quelle violente, inattese. Parlarne del resto serve a esorcizzare, il racconto dell’incubo smorza la paura: sennó non avremmo mai sentito nominare Cappuccetto Rosso, o Hansel e Gretel.
Per strada, nelle conversazioni raccolte e in quelle provocate, più degli angeli e dei demoni si contano i fantasmi di un paesone della Via Emilia, circondato di vitigni e cantine che imbottigliano Lambrusco, da allevamenti e caseifici, con Reggio alle spalle e la collina davanti, che era abituato a essere considerato uno degli esempi dell’eccellenza del welfare emiliano. E, per quanto riguarda l’educazione e i minori, in modo particolare. “Io facevo il sindaco in un comunque vicino, ma in un’altra Unione di comuni. E io invidiavo il sistema di gestione dei problemi dei minori dell’Unione Val d’Enza”, racconta Massimo Gazza. Del resto, l’eco che rimbomba in paese, sia in chi tiene alti i toni dell’orgoglio per un’eccellenza, sia in chi non si sottrae all’autocritica, ha lo stesso sapore: “siamo passati dall’essere celebrati come un modello all’essere raccontati come l’epicentro di un insieme di crimini abominevoli, che avevano per vittima i bambini”. Ironia della sorte, il centro “La Cura” che è uno degli snodi dell’inchiesta non solo era celebrato come un centro di eccellenza, ma era nato proprio come “risposta” sociale e politica a un caso grave di pedofilia che aveva scosso il territorio. “Che poi, la centralità di Bibbiano in questa storia è vera fino a mezzogiorno, di lì a mezzanotte di tempo ne passa: ed è tutta da dimostrare”. Usa un’espressione colorita, Valterio Ferrari, già candidato sindaco e oggi consigliere di minoranza, oppositore di Andrea Carletti, per dire una cosa che è ormai passata in terzo piano, tra un hashtag e l’altro, eppure verissima: i casi di affidi sospetti riguardano in realtà tutti i comuni dell’Unione della Val d’Enza, non solo Bibbiano. Anzi, riguardavano soprattutto altri comuni, e Bibbiano è diventato l’epicentro simbolico per l’arresto cui è stato sottoposto Andrea Carletti, che di Bibbiano è sì il sindaco, ma per i reati di abuso d’ufficio che avrebbe commesso, secondo l’accusa, nella sua veste di delegato alle politiche sociali dell’Unione dei comuni. Niente a che vedere, in nessun caso, dal punto di vista giuridico, con i presunti abusi, i ricordi indotti e le forzature sui minori. “Ma poi l’abuso d’ufficio che oggi cavalcano come gravissimo non era mica quel reato che proprio Salvini voleva abolire perché blocca le pubbliche amministrazioni?” chiede acutamente un amico del sindaco. E ha ragione: appena un mese prima, in effetti, così parlò il ministro dell’Interno, a favore dell’abolizione della fattispecie penale meno grave, tra quelle che sanzionano i delitti contro le pubbliche amministrazioni. Anche lui è arrivato a Bibbiano, invece, per cavalcare la vicenda, e attorno a lui giravano operatori che raccoglievano confidenze “certificatissime” sul fatto che “tutti sapevano” che c’era del marcio. “Ma perché i tuoi colleghi non hanno verificato chi erano quelli che gli dicevano che tutti sapevano, eh? Perchè gli serviva qualcuno che confermasse ste strane teorie davanti a una telecamera? Per fare audience?”.
“Mah, io credo che ci siano stati molti errori, in questa vicenda, e voglio vederci chiaro, soprattutto nel sistema dei rapporti con le associazioni e con Hansel e Gretel” prosegue Ferrari “ma insomma, a tutti noi i problemi in campagna elettorale sembravano ben altri, come la cementificazione imminente. Invece ci siamo trovati la città invasa dai fascisti di Casa Pound e Forza Nuova per protestare contro l’affido di minori alle lesbiche”. Uno dei casi più discussi e, a leggere le carte con attenzione anche più significativi, in effetti, riguarda una minorenne sottratta alla famiglia naturale con diverse forzature per poi essere affidata a una coppia di donne omosessuali che, secondo gli inquirenti, sarebbero state parte attiva di un disegno preciso. È la parte dell’inchiesta più buia, a leggere le carte. Quella in cui si legge tra le righe una certa “arroganza” – qualcuno in paese usa proprio questa parola – nella gestione delle vite dei minori: la convinzione di intervenire con la forza, magari manomettendo i disegni dei bimbi, per dare solidità alle teorie.
“Beh, peró centomila volte meglio le lesbiche dei fascisti!” prosegue Ferrari, che da candidato sindaco della lista civica ha sfidato, da sinistra, sostanzialmente, la settantennale – si, 70 anni, avete letto bene – continuità: il PCI-PDS-DS-PD che governa in Val d’Enza da quando si vota. La divisione e la sua critica al blocco di potere non ha fatto leva su Angeli e Demoni, tanto che ha sottoscritto un ordine del giorno con la maggioranza, sul tema. Ha solo un dubbio, non peregrino: “Visto che l’inchiesta va avanti da un anno, non è che Carletti sapeva di essere indagato anche quando si è ricandidato, pochi mesi fa, e non ha detto niente a nessuno?”. In paese girano domande come queste, e altri dubbi riguardano la capacità di avere il giusto distacco nei confronti di un’associazione e di professionisti nei quali l’amministrazione aveva riposto massima fiducia. Ma che il sindaco fosse il capo di una cupola che rapiva i bambini per darli alle lesbiche o che, in tono minore, ci fossero giri di interessi privati diretti della politica, beh, a questo non sembra credere proprio nessuno.
Chiacchieriamo all’ombra di una grande canonica, tra mazzi di carte e bestemmie che volano nel mezzo del pomeriggio. Siamo in quell’Emilia in cui anche i comunisti più organici, ancora oggi, da un lato ti dicono che sono “comunisti” – oggi, nel 2019 – e dall’altro ti spiegano che “il mio miglior amico è un prete, e nella sezione vicino alla foto di Berlinguer e Togliatti c’è Aldo Moro. E ce l’ho messo io mentre facevamo il Pd, e non perché me l’ha chiesto qualcuno”. Come ogni anno, a Bibbiano, nel pieno d’Agosto, si prepara la Festa dell’Unità, si svolgerà tra l’8 e il 18, al Parco Manara, a quattro passi assolati da quella canonica, da quei mazzi di carte. Buon ultimo, proprio il giorno dell’apertura della Festa, arriverà a Bibbiano anche Luigi Di Maio, e dal paese promettono di invitarlo alla Festa, dove lo aspettano cappelletti e gnocco fritto. Adesso non si chiama più Festa dell’Unità, ma Festival d’Enza, ma è ovviamente una festa dell’Unità in piena regola, e la tradizione l’ha sempre collocata in mezzo ad Agosto: quasi un’occasione di vacanza in paese, per chi in vacanza non ci era mai stato, in un paese di contadini benestanti, col conto in banca pieno a forza di risparmiare.
Un grande parco che ospita eventi, ed è di proprietà di un’associazione che vede tra i membri diversi dirigenti di spicco del partito locale (in tutte le sue ultradecennali reincarnazioni, dal Pci fino a oggi), tra cui Daniele Caminati, dirigente comunale dell’area tecnica e autore di un libro su Bibbiano e il suo sviluppo urbanistico, che segue da vicino da decenni. Con altri lo trovo al Parco Manara, a rifinire gli ultimi lavori per l’allestimento della grande festa che arriva. Della vicenda che ha scosso la comunità non vuole parlare, dice solo, indicando il parco: “Questo è il frutto di decenni di lavoro e di impegno dei volontari, è nostro, dell’associazione, e se l’associazione si dovesse sciogliere tutto questo non finirà al partito o ai privati, ma sarà automaticamente donato al Comune di Bibbiano”. In lui e in molti altri, qui, c’è l’orgoglio che brilla negli occhi, per un partito che in fondo quasi coincide con “lo stato”, per una militanza che non si può scindere dall’amministrazione: e l’assoluta, serena rivendicazione dell’onestà e della buona fede. Se chiedi in giro se è “sano”, se fa bene questo blocco così duraturo di continuità di potere, ti senti rispondere sostanzialmente con gli elementi che fondano la domanda: “Ci votano da tanti anni, anche l’ultima volta Andrea Carletti ha avuto circa l’80% dei consensi. Evidentemente non siamo così male, no? Evidentemente ai bibbianesi quel che facciamo piace”.
Dalla rivendicazione della buona politica e della buona amministrazione, alla sensazione dell’accerchiamento e addirittura del complotto subìto, il passo è ovviamente breve. Si parte “dal basso”, dai livelli territoriali, dalle voci del paese: “ti faccio notare che una delle principali pentite, quella che dice di aver manomesso i verbali sotto minaccia di chissà quali pressioni, ha lo stesso cognome di un ex comandante dei carabinieri ora in pensione…”, dice qualcuno. Ma in diversi a Bibbiano pensano a una trama di ben altro spessore, e sottolineano che il sindaco Carletti è stato molto esposto, molto schierato, nel processo Aemilia, quello che ha indagato e smascherato le pesanti infiltrazioni ndranghetiste nella regione e nella zona. “Si è costituito parte civile, ha combattuto apertamente contro alcune delle famiglie coinvolte nel processo e residenti qui ma che qui, con noi al governo del paese, non hanno mai costruito neanche un box” dicono orgogliosi i suoi collaboratori. Eppure, quella magistratura con la quale Carletti ha cooperato, il cui lavoro ha apertamente sostenuto, sarebbe proprio uno dei “nodi” delle teorie che vedono Bibbiano al centro di un complotto contro il partito-stato del paese, che è poi quello che governa in Regione Emilia-Romagna da sempre: almeno fino alla prossima volta. “Ma dai, è chiaro, evidente: ci rosoleranno con quest’inchiesta fino al 26 settembre, almeno, data prevista per la chiusura delle indagini: e poi useranno tutto il materiale giudiziario, amplificandolo, travisandolo, distorcendolo, come già hanno fatto finora, per fare campagna elettorale”. Già, la campagna elettorale che è sullo sfondo, quella per prendere la Regione ora governata da Stefano Bonaccini e su cui si allunga, minacciosa, l’ombra del cambiamento, incarnato con ogni probabilità da Lucia Borgonzoni, 42 anni, nipote di partigiano, leghista fin da giovanissima e salviniana di ferro. Sarà lei la candidata, forse la favorita, alle regionali attese per fine anno.
In tanti, anche molto vicini al Partito-stato di Bibbiano, a questa tentazione del complotto non cedono. “Ma no, dai” dice più di una voce. “I magistrati sono partiti da una presa di posizione politica sul sistema degli affidi, da dei numeri che sembravano incongruenti e che come tali erano stati pubblicamente denunciati da Natascia Cersosimo”, consigliera comunale a 5 Stelle nel comune di Cavriago. E ricordano di come il principale filone d’inchiesta in realtà non riguardi la politica e il Pd anche se – per molte ragioni, tutte ovvio – a fare più rumore sono stati proprio i provvedimenti di custodia cautelare che hanno riguardato il sindaco di Bibbiano. Sia come sia, da una denuncia del Movimento 5 Stelle si è aperta un’inchiesta che ha travolto il Pd. A goderne, politicamente, potrebbe essere proprio un terzo partito, che al momento è anche il primo partito d’Italia, ed è guidato dal ministro dell’interno, che guida il Viminale, in questi giorni, da Milano Marittima: la regione è la stessa, ma lato romagnolo.
D’estate, finite le scuole, a Bibbiano e negli altri comuni della Val d’Enza non arriva neanche il treno. Per fare la manciata di chilometri che porta a Reggio Emilia bisogna fare mezz’ora di curve e frenate, aree industriali e ville in vendita lambite da un autobus. Un ragazzo dai tratti nordafricani ma dall’accento marcatamente emiliano discute col controllore che non ha da dargli il resto. Immigrati napoletani, africani, indiani salgono e scendono prima di arrivare al capolinea, la stazione di Reggio Emilia. La città di Romano Prodi, quella in cui è cresciuto Giuseppe Dossetti, quella in cui qualcuno ancora si ricorda di un giovanissimo Graziano Delrio comunista (prima di diventare democristiano) “ha sempre avuto il ruolo di sosta e mai l’importanza della meta”, come scriveva un altro reggiano, Pier Vittorio Tondelli. E nella sosta tra un bus di provincia e un treno che mi riporti a Milano, sento parlare una lingua incomprensibile da una donna bionda, sulla cinquantina, che si porta dietro due enormi valigie: un trasloco, tutto nelle sue mani. È georgiana, mi spiega dopo, e i due che l’hanno interpellata sono suoi concittadini. Non si conoscevano, dice, l’hanno riconosciuta come connazionale “dalla faccia”. Mi racconta una storia confusa, poco sostenuta dall’italiano: deve lasciare Reggio Emilia e trasferirsi in un paesino della provincia. Aspetta davanti alla stazione che qualcuno la vada a prendere e la porti via. Non è contenta, no, preferiva restare a Reggio, ma il nuovo lavoro, il nuovo padrone, il nuovo anziano cui badare, sta là. A un certo punto sparisce in un’utilitaria, con gli occhi tristi. Va incontro rassegnata ai suoi demoni: a lei, per contratto, spetta il ruolo dell’angelo.
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Bel pezzo, bel reportage. W i giornalisti che prendono i mezzi.
Purtroppo la politica non si fa scappare nessun cavallo.E lo cavalca fin che può.