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Partiti e politici

Ecco l’autonomia! E io mi ricordo di quando si urlava: “il federalismo è legge!”

di Jacopo Tondelli
3 Febbraio 2023

Oggi è il giorno in cui “l’autuonomia differenziata è legge!”. Il consiglio dei ministri di ieri, infatti, ha approvato una legge quadro che dovrebbe guidare i prossimi passi di una delle innovazioni normative e istituzionali più discusse degli ultimi anni. La storia dell’autonomia è lunga e contorta, in realtà: è, politicamente, parlando il premio che le regioni del Nord, a trazione leghista, hanno continuato a volere, e poi a un certo punto a pretendere, proprio mentre il loro partito, guidato da Salvini, diventava un partito nazionalista. “Tu vai a prendere i voti in Calabria? Ok, però dai a noi – veneti, in primis, ma anche lombardi – più potere decisionale in molte materie, quindi più risorse. Noi paghiamo più tasse, quindi vogliamo tenerci più soldi”. Queste potrebbero essere le frasi tipo che Zaia o uno dei suoi hanno rivolto a Salvini, a suo tempo, per ottenere che il progetto diventasse legge. La richiesta è diventata ovviamente anche più stringente adesso, nella nuova legislatura. Perchè la Lega è al governo col centrodestra, che formalmente aveva in programma l’attuazione del progetto. E perchè, oltretutto, pur essendo rimasta formalmente nazionalista, la Lega di Salvini è tornata a prendere le percentuali della vecchia Lega nordista, e quei voti li ha presi, dove li ha presi sempre, ad eccezione delle politiche del 2018 e delle europee del 2019: cioè al Nord.

La questione politica e normativa è ampia e sfaccettata, come sempre quando si parla di cose importanti. Alle pretese delle regioni ricche del Nord si contrappongono quelle delle regioni povere del sud, che sottolineano – a ragione – il rischio di un ulteriore taglio dei trasferimenti pubblici, in territori sempre più desertificati e non solo perchè “ci sono le mafie” o “la gente non ha voglia di lavorare”. Poi c’è una questione generale: l’attuazione della riforma darebbe più potere alle Regioni, cioè un’istituzione che non gode di particolare salute e che è diventata, spesso e volentieri, un mostro di potere burocratizzato e molto lontano dall’opinione pubblica e dal controllo dei cittadini. C’è poi il solito curioso cortocircuito politico: questa riforma arriva nel quadro di una riforma costituzionale, quella del 2001, voluta e approvata dai governi di centrosinistra, che dando più forza alle regioni speravano di arginare il consenso leghista. Il risultato è che la Lega, nonostante tutto, è ancora viva e vegeta, la sinistra nei territori extraurbani del nord ha continuato a non toccare la palla, e oggi la destra di governo può ben dire che sta solo applicando una riforma costituzionale voluta dagli altri.

Queste sarebbero le cose importanti di cui parlare. Ma a me, si sa, piacciono anche i dettagli. Nell’aprile del 2009, circa un anno dopo la più grande vittoria elettorale della storia del centrodestra berlusconiano, fu approvata la riforma federale dello stato. “Il federalismo è legge!”, proclamavano entusiasti i leghisti di allora. Calderoli, in particolare, che è anche il leghista di oggi che ha in mano questa, di riforma, e i suoi dispositivi normativi. Calderoli lavora in coppia col meridionalissimo e meloniano Raffaele Fitto. Allora Roberto da Bergamo faceva il ministro per la semplificazione normativa dopo aver fatto il ministro per la devoluzione, oggi fa il ministro per gli affari regionali. Insomma, il dossier c’è la sempre in mano lui, anche se la Lega di ieri è in teoria molto diversa da quella di oggi, e lui un tempo bossiano di ferro è diventato salviniano di amianto. La riforma del 2009, che doveva avvenire attraverso uan serie di decreti attuativi da parte del governo su delega approvata dal parlamento appunto nell’aprile di quell’anno, di fatto finì in niente, a parte una serie di decreti attuativi che non incidevano in profondità sulla distribuzione dell’unica cosa che conta, cioè i soldi. Finì in niente perchè gli equilibri di coalizione dovevano tenere conto di un giume di voti presi da Berlusconi al sud. E finì in niente perchè l’intera legislatura fu travolta da scandali, disastri, lo spread a 500 e tutto quello che vagamente ricordiamo. La domanda, per farla breve, è una: questa volta sarà diverso? La vita della legislatura e la forza degli equilibri politici che adesso la governano reggeranno? È una domanda che riguarda la salute e solidità della democrazia italiana e della sua capacità di decidere, a prescindere dal pensiero di ciascuno su questa riforma. Allenare un po’ di memoria analogica può aiutarci a sorvegliare il prossimo futuro c on un po’ di concretezza. Che, tra un decreto sui rave e una polemica sul gender fluid a Sanremo, non guasta.

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