La rifondazione del Partito Democratico attraverso il popolo e l’avanguardia

29 Settembre 2022

L’esperienza socialdemocratica e la tradizione liberale possono convivere nello stesso tinello politico senza logorarsi per effetto di spinte centrifughe e centripete che portino alla dissoluzione della famiglia ed alla vendita del tinello?

È più di un decennio che questa domanda, variamente formulata, costituisce l’alfa e l’omega di ogni analisi della sconfitta. Il più delle volte chi fa e disfa la tela dell’analisi appartiene ad una delle due grandi famiglie che sono confluite in questa grande storia collettiva che, per non far torto a nessuno, da un po’ di tempo usiamo definire riformista o, più generosamente, progressista. Anche qui, in un esercizio di semplificazione dal vago profumo anglosassone che presupporrebbe la contrapposizione ad una formazione sinceramente conservatrice che in Italia, banalmente, non esiste.

Siamo un Paese complesso, dalle dinamiche sociali e di partecipazione alla vita collettiva, altrettanto complesse. Ogni corpo intermedio si ramifica in articolazioni governate da bizantini equilibri di potere. Non abbiamo, per ontologia, una vocazione alla semplificazione. Basterebbe questa constatazione per guardare all’esperienza del Partito Democratico come ad un’illusione dei fondatori che, in sol colpo, tentarono di archiviare il multipartitismo esasperato che da sempre è la costellazione che sovrasta le vicende politiche italiane.

Eppure, siamo così convinti che la chiave per risolvere la crisi, apparentemente diventata fisiologica, del Centrosinistra italiano e più propriamente del PD sia rappresentata da un’ulteriore caccia alla purezza? Siamo così convinti che tutto si risolva, in preda ad una smania definitoria, imbarcandosi armi e bagagli in un pellegrinaggio alla ricerca del Graal dell’identità definitiva, al fine di dirci definitivamente socialisti o definitivamente liberali? E, da ultimo, siamo così convinti che una volta agguantata la definizione che, per forza di cose, presupporrebbe purificazioni, catarsi progressive, essa sia, di per sé, sufficiente a riconquistare il nostro popolo? Molto francamente, non credo.

Chi scrive ha una formazione socialdemocratica, i miei riferimenti sono quelli del solidarismo, della scuola della sociologia fiscale, della redistribuzione attraverso l’imposta, per fare un esempio. Eppure, non mi sognerei mai di imbracciare il fucile per sparare ai liberali che si nascondono dietro i cespugli della mia comunità politica, perché il problema non risiede lì. Mi iscrivo nella categoria dello spirito dei “nativi democratici”, milito in questo Partito dalla sua nascita, prima nella sua giovanile e poi nel PD. La mia attività politica si è consumata in provincia, sulla frontiera della gente comune dove il Partito esiste se parla alla gente. Eppure, nelle ripetute assise in cui abbiamo analizzato le sconfitte nazionali, snocciolato i problemi, la gente l’abbiamo tenuta fuori, credendo che il problema fosse, come sempre, capire quale delle due strade della purezza imboccare. Così siamo finiti tutti, ma proprio tutti, ad imbarcarci sulla scialuppa di questa o quella corrente, mentre là fuori, la gente, la nostra gente, restava a guardarci tutti intenti a lambiccarci in esercizi esegetici sulle percentuali da attribuire a questo o quello nella composizione delle liste, nella definizione degli equilibri interni. Così abbiamo finito per vincere la gran parte delle elezioni locali e perdere quelle nazionali, perché sui territori restiamo la sola avanguardia ma poi, quando si tratta di decidere il destino di questo complicato Paese, la gente la teniamo fuori dalle assemblee che diventano ritrovi correntizi e l’avanguardia la buttiamo a mare.

Il popolo e l’avanguardia: è da qui che passa la soluzione. Se l’interlocuzione con la gente e la forza delle avanguardie territoriali del Partito sono da sempre le chiavi della vittoria nelle elezioni locali, non si comprende perché questo combinato si spezzi astraendosi dal livello di governo della comunità democratica più prossimo alla gente. Mi spiego meglio. Se prendete in considerazione la Campania, regione in cui il Movimento 5 Stelle realizza risultati impressionanti, osserverete che i comuni nei quali il PD regge meglio sono quelli in cui il rapporto tra il popolo e l’avanguardia è più serrato.

La ricostruzione, se preferite la ri-fondazione, del Partito Democratico passa da qui. Non si ricostruisce la grande famiglia di centrosinistra lanciandosi in una caccia alla purezza, bensì recuperando il rapporto col popolo e con le parole del popolo. Non si seleziona la classe dirigente chiudendo i cancelli alle avanguardie territoriali bensì pescando a piene mani da esse.

Enrico Letta, nella conferenza stampa che inaugura la fase congressuale, parla di una nuova generazione chiamata a prendere sulle spalle questa storia collettiva. Ebbene questa generazione esiste ed è una generazione diffusa, che si è formata nelle città e nelle periferie, parlando alla gente, al popolo che non ci capisce più e che è del tutto disinteressato alla ricerca, così teorica e rischiosamente frammentatrice, della purezza. Anche perché, per dirla con Nenni, a forza di cercare la purezza, trovi sempre uno più puro che ti epura.

TAG: centrosinistra, correnti, Crisi PD, pd napoli, popolo, sinistra
CAT: Partiti e politici

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