Renzi e D’Alema: le ragioni della sconfitta

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6 Marzo 2018

Rifletto sul risultato elettorale  e leggo molti commenti.
Il primo a colpirmi è quello di Massimo D’Alema:

«Ho preso meno voti delle persone che ho incontrato, e questo significa che non siamo stati percepiti come qualcosa di diverso rispetto al centrosinistra e a quello che anche noi abbiamo criticato e contrastato nell’ultimo anno».

E’ un problema di comunicazione, allora? –  mi chiedo e chiedo a D’Alema – Avete giocato la vostra partita cercando di prendere le distanze dal Pd, cioè da un partito che ormai considerate di centro, che vi appare più orientato a farsi carico delle esigenze dei “garantiti” che di quelle dei ceti deboli, eppure la risposta è stata quella che conosciamo : partiti con l’obiettivo del dieci per cento, siete rimasti decisamente sotto il quattro.

Esamino subito dopo, tra i tanti commenti, quello di una persona della mia città, Venezia, con un ruolo significativo nell’ambito del pd.
Questa persona fa l’autocritica. Dice che il Pd non è stato inclusivo, non ha saputo comunicare i suoi risultati, non è stato disponibile ad ammettere i suoi errori, è stato troppo spesso sordo alle critiche.
Poi però aggiunge: qui, nel Centro storico di Venezia, il centrosinista è andato bene, siamo in controtendenza rispetto al resto del paese, questo si deve al fatto che abbiamo saputo comunicare.

Ancora un problema di comunicazione dunque?
Forse, penso io, in politica la comunicazione ha un ruolo importantissimo
Però poi leggo alcuni dei commenti successivi a quello che ho sintetizzato sopra.
Quello di un signore che fa notare che anche nel centro di Milano il centrosinistra ha avuto un buon risultato.
Oppure quello di un altro che sottolinea il fatto che, a Roma,  il centrosinistra ha avuto la meglio ai Parioli e la peggio alla Garbatella.

E alla fine c’è un intervento più articolato dal quale mi permetto di estrapolare e citare i passaggi più significativi:

“Se guardo la mappa del voto non posso non notare che siete maggiormente rappresentativi nei quartieri ricchi della città […]
La domanda sulla composizione di classe (si sarebbe detto una volta) è importantissima per una forza cosiddetta di sinistra, perché se non ti vota chi non riesce a pagare le bollette vuol dire che il progetto politico non è credibile al soggetto politico (il ceto, la classe, i gruppi; chiamali come vuoi) al quale principalmente deve rivolgersi e i cui interessi deve curare. “.

Mettiamo insieme i pezzi, ora.
La sconfitta delle sinistre – sia di quelle alternative sia di quella moderata – è stata determinata da un problema di comunicazione? E’ mancata la capacità di ascolto? E’ stata insufficiente l’autocritica?
E’ stata insufficiente la capacità di inclusione? Sono stati scelti i toni e gli atteggiamenti sbagliati?
Certamente sì.

Ma non sarà anche un problema di sostanza? Di target (parola orribile) come di usa dire oggi?
C’è chi, come D’alema,  si veste del “brand”(altra parola orribile) di sinistra puntando alla sua versione novecentesca.
C’è chi, come Renzi, cerca di proporne un modello aggiornato e allargato.
In entrambi i casi i cosidetti ceti deboli non accorrono festanti: nell’una o nell’altra versione del brand, evidentemente non riescono a trovare una risposta ai loro bisogni.

 

 

 

 

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CAT: Partiti e politici

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