Ministro Padoan, il suo silenzio sul generale Adinolfi è pavidità o complicità?

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13 Luglio 2015

Dobbiamo al generale Michele Adinolfi e al suo patetico brigare per diventare comandante capo della Guardia di Finanza la migliore rappresentazione teatrale del Potere, quello basso dello sgavazzo mangereccio in cui svergognare ora tizio ora caio e quello alto, sempre e comunque da Bar dello Sport, che lo vede impegnato nel ridisegnare i contorni istituzionali del Paese con il vecchio amico sindaco in quel momento   segretario del Pd (sempre, sia chiaro, con il lusinghiero obiettivo di proiettare le sue terga allo scranno definitivo della Gdf). Ci sarebbe da capire, pur apprezzando la frenetica e incessante tessitura, se sia quello il suo vero lavoro in seno all’istituzione militare e non invece ciò che cittadini normali attribuirebbero a un generalone di quella foggia e cioè l’apprezzabile  (ai nostri occhi) ricerca di miliardari ridens poco propensi a una qualche comprimissione con lo stato centrale a cui da anni non versano un solo euro di tasse.

In altri Paesi, ma è quasi inutile dirlo, un generalone che al telefono non interrompe immediatamente la conversazione quando il tono coinvolge pesantemente il suo capo del governo o comunque non si avverte una sua chiara dissociazione, viene passato per le armi nella peggiore delle ipotesi (Kim Jong-un, Corea del Nord), mentre nella migliore lo si dovrebbe costringere a trovarsi un lavoro dignitoso (in questo caso, vista la sua antica amicizia con Galliani, responsabile dei rapporti istituzionali dell’A.C. Milan in luogo dell’inutile Isabella Votino imposta in rossonero da Roberto Maroni). Se tutto ciò non accade, nè il meglio nè il peggio, è perchè siamo nell’Italia che non decide, che non assume mai responsabilità dirette, che non ha il coraggio responsabile delle proprie azioni. In una domanda: dopo aver letto ciò che abbiamo letto (anche oggi sul Corriere a firma Sarzanini), il ministro controllore della Gdf e cioè Piercarlo Padoan nulla ha da dire? Ha forse qualche incertezza, chiamiamola così, qualche comprensibile tentennamento, perchè le questioni poco dignitose, assai poco dignitose, emergono in superficie “sempre e comunque” dal grande mare delle intercettazioni e per giunta, stavolta, con la nobilissima aggiunta del presidente del Consiglio, Matteo Renzi?

Già, sempre le intercettazioni. Parliamone un attimo. Giace in Parlamento un certo numero di proposte e parrebbe che nessuna di queste preveda più il gabbio per i cronisti così come avrebbe voluto il procuratore Gratteri, che per il governo si occupa di riformare la giustizia. Gratteri, in maniera stravagante per un pm, nelle sue proposte “carcerarie” aveva invertito l’onere della responsabilità: visto che non si riesce mai a stabilire chi caspita fa uscire la polpetta più o meno avvelenata, noi carceriamo il giornalista che la pubblica. Ma bravo, sette più. Sgraviamo la questione da inutili ispirazioni virginali e andiamo al concreto. Il lavoro di repressione va fatto in radice, cioè in chi detiene le carte, ha il potere decisionale di farle uscire, depositarle, renderle pubbliche. E’ in questo stagno che si debbono porre i limiti del caso, della decenza, della difesa della privacy, è in questo contesto che si deve operare una scrematura intelligente. Per intenderci: quella conversazione tra Adinolfi e Renzi ha un interesse superiore, pur non avendo alcuna rilevanza penale? Ovviamente sì, le anime belle, i finti puritani in servizio permanente effettivo, che oggi gridano allo scandalo se ne facciano una ragione, tutto ciò che disvela in modo inequivocabile una trama di potere che interessa la vita sociale dei cittadini, che contribuisce a chiarirne i meccanismi, è decisamente pubblicabile. E cosa allora no? Anche in questo caso, esempio classico tra i tanti: ricordate lo scandalo P3, P4, eccetera? Bene, il provveditore alle Opere Pubbliche, Angelo Balducci, coinvolto pesantemente nell’inchiesta, venne letteralmente sbattuto in prima pagina per una personalissima questione che riguardava i suoi gusti sessuali, che non solo non aggiungeva un capello all’indagine, ma che gettava invece i suoi familiari in un’inaccettabile angoscia e che alla fine minava la credibilità dei giudici che ne avevano autorizzato il deposito.
Ma torniamo al Potere da cui avevamo iniziato. Che cosa chiediamo noi al potere?  Non che sia trasparente, ci mancherebbe, le anime belle ci piacciono sì, ma non siamo ancora così ingenui. Chiediamo semplicemente una certa consequenzialità. Nel senso che gli consentiamo di vivere nell’ombra, di fare i suoi inevitabili magheggi, le sue cene, le sue trame, i suoi lavori sporchi. Glielo dobbiamo semplicemente perchè non possiamo materialmente opporci. È un po’ come il tavolo delle trattative. È un tavolo  in cui non dettiamo legge, ma la subiamo. C’è solo un momento nel quale possiamo far pesare la nostra condizioni di cittadini: quando il Potere emerge in superficie, quando lo scandalo affiora, disvelandoci il suo intreccio perverso. È solo allora che  a quel tavolo possiamo alzarci in piedi a battere i pugni! Chiedendo sanzioni esemplari. Lasciate pure che ci guardino come matti a quel tavolo, lo sappiamo che quegli sguardi vorrebbero farci passare per matti, per visionari, per ingenui. Noi in quel momento possiamo pretendere qualcosa. Ecco perchè ministro Padoan, oggi le possiamo chiedere: ha intenzione di prendere qualche provvediemento nei confronti del generale Adinolfi?

TAG: Matteo Renzi, michele adinolfi, nicola gratteri, piercarlo padoan
CAT: Partiti e politici

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