Neanche un minuto
Che Lucio Battisti fosse avanti anni luce rispetto alla musica italiana degli anni ’70 lo si capisce da molte canzoni. Tra queste, Neanche un minuto di non amore merita un posto speciale. E’ un pezzo con un arrangiamento modernissimo ed una costruzione fenomenale. Sarebbe piaciuto a David Bowie. E, come di consueto, le parole di Mogol si fondono completamente con la musica e col ritmo battistiano. Se mi dicessero che Mogol e Battisti hanno composto il pezzo senza alcun passaggio intermedio, non avrei esitazioni a crederlo.
E’ interessante anche la storia racchiusa in questo piccolo gioiello di 5 minuti. Un uomo ha intuito che qualcosa non va dal tono della voce della donna che ama. Sta andando ad incontrarla ed è veramente preoccupato. Riflettendo sugli ultimi momenti passati insieme, non riesce a capire cosa possa essere successo. Neanche un minuto/di non amore/questo è il risultato/dei pensieri miei. Mentre pensa, l’uomo guida. C’è traffico, suonano i clacson, lui è profondamente infastidito e la sua ansia cresce in modo insostenibile. Gli sembra impossibile che lei non lo ami più. Però qualcosa è successo, e correre a chiarirlo è l’unica soluzione. Finalmente la incontra; la fa salire in auto. Nemmeno parcheggia, e le chiede ossessivamente cosa abbia. La poveretta ha perso il lavoro, si vergognava a dirlo, e voleva stare con lui. L’uomo sorride: lei lo ama ancora, cosa può importare tutto il resto, compreso il lavoro?
Beata impazienza che ci fa correre sulle strade per amore! E per questo ci fa odiare la gente che, davanti a noi, rispetta il codice della strada e magari fa anche passare i pedoni sulle strisce. Alzi la mano là fuori chi non ha mai provato questa sensazione. Alzi la mano chi non ha vissuto una simile storia di ansia a partire da elementi impercettibili come un tono di voce leggermente incrinato. Oggi è probabile che succeda persino per delle spunte di whatsapp che non diventano blu in pochi istanti come ci si aspetterebbe, segnalando un’esitazione nella lettura di un messaggio. A me piace questa impazienza, la trovo umanamente delicata. Neanche un minuto di non amore.
Accanto a questa, c’è un’impazienza che mi piace meno, molto meno. Forse il termine più giusto per rappresentarla è impazienza da consumatore. Essa corrisponde all’idea che ad un bisogno (o più spesso un desiderio) si debba dare una risposta immediata di piena soddisfazione. E’ una forma di impazienza che è esplosa insieme alla tecnologia ed ai nuovi mass-media. Per esempio, con un semplice click posso comprare una cosa che mi piace su un sito di vendite online, oppure saltare a piè pari i titoli di apertura di un film che vedo su qualche piattaforma online. Ormai andare a vedere l’oggetto del desiderio in due/tre negozi per valutarne la convenienza, e magari abituarci l’occhio fantasticando un po’ senza possederlo, appare un atteggiamento da uomini che vivono nelle caverne preistoriche. L’umanità conosce da qualche tempo due nuove classi sociali: quelli che possiedono e quelli che non possiedono Amazon Prime. Solo i primi potranno ricevere rapidamente quello che hanno comprato con un click. Ci sono paradossi, anche. Conosco persone che non rinuncerebbero mai alla consegna rapida e che durante il lockdown della scorsa primavera lasciavano in quarantena di tre giorni il pacco ricevuto con spedizione “prime” nel loro garage; ma il senso del possesso hic et nunc era comunque soddisfatto. E che dire della consultazione ossessiva dei propri post sui social per vedere se la gratificazione, sotto forma di like, è finalmente arrivata? Non sono un sociologo, ma ho letto qualche libro e so che decine di autori hanno descritto in dettaglio questa impazienza tipica dei nostri tempi. E hanno sottolineato che ormai essa impone la gratificazione immediata anche in campi in cui non può essere soddisfatta per definizione. Il principale è la politica.
Ho perso da molto tempo l’illusione che la politica si identifichi in un agone dove si confrontano civilmente analisi e si propongono sintesi, su base ideale e pragmatica. Per carità, questa visione di un mondo ideale popolato da brave persone che discutono forbitamente di problemi e propongono soluzioni concrete, è un’allucinazione di chi legge troppi libri. Non funziona nemmeno quando si discute di cose molto pratiche come il taglio dell’erba nel giardino alla riunione di condominio. Però l’idea che i nostri rappresentanti in Parlamento non debbano agire per scorciatoie, qualunque sia l’urgenza a cui devono rispondere, continua a non volersene andare dall’ultimo angolino del mio cervello in cui si è rifugiata. Per molti, me incluso, è attraente vagheggiare di politici che prima di prendere una decisione accendono il cervello. Vi dirò, è anche un’idea che non limiterei solo a politica, ma che applicherei anche ai miei vicini di casa o qualche collega che lavora insieme a me; e certamente la proporrei come approccio obbligatorio per le chat di whatsapp dei genitori di bimbi e ragazzi che vanno a scuola.
Scopro invece tutti i giorni che questo modello è roba da antiquariato. L’impazienza da consumatore e la capacità di rispondervi immediatamente tramite scorciatoie semplici e aggressive sono da considerarsi una forma efficace di decisionismo. La followship sostituisce la leadership, come direbbe Luigi di Gregorio. E’ opinione comune che la politica romana non funzioni: l’attività legislativa langue; le leggi sono contorte e inefficaci; il governo gira a vuoto e non aiuta mai il povero cittadino vessato. Quasi tutti politici attuali vengono largamente considerati dei fannulloni strapagati che passano il tempo ad inventarsi fregature per il popolo. Riscuotono ampio consenso solo i politici che semplificano e danno risposte immediate all’impazienza dominante; e poco importa se queste risposte o non spostano di un millimetro il problema oppure sono solo fumo negli occhi.
Adesso c’è un nuovo fronte. Per punire questa classe di incapaci e migliorare la funzionalità del Parlamento, si è deciso di modificare la Costituzione e tagliare un certo numero di deputati e senatori. Ogni impaziente cittadino-consumatore può abolire i problemi legati alla Kasta, barrando un bel SI sulla scheda referendaria che si troverà tra le mani domani e lunedì.
Non sono cieco e vedo anche io la scarsa capacità di certi parlamentari, che talvolta sfocia in insopportabile arroganza. Ma può essere questa una buona ragione per giustificare l’impazienza consumatrice diretta a cambiare la Costituzione? Pare ci siano buoni argomenti costituzionali e politici per votare SI, e sinceramente non ne dubito. E’ innegabilmente vero che le riforme costituzionali ampie proposte in passato comprendevano sempre la riduzione del numero dei Parlamentari. Ma quelle erano, appunto, riforme ampie. Al netto del loro merito, esse consideravano il sistema politico-costituzionale come un universo complicato dove tutte le norme si “tengono” tra loro, bilanciandosi. Oggigiorno i costituzionalisti e molti politici per il SI prevedono che taglio dei parlamentari darà vita ad una stagione di riforme, alcune delle quali sono obbligatorie per evitare effetti surreali di rappresentanza distorta. Può darsi che accada, anche se nutro diversi dubbi al riguardo.
Ma il punto non è questo. Fossero queste le ragioni di chi vota SI, il NO vincerebbe con il 99%. Il punto è che la vittoria del SI, se ci sarà, sarà largamente basata sull’impazienza distruttiva dei cittadini consumatori. E’ un po’ come tagliare la mano di una persona anziana sostituendola con una protesi: così facendo il povero vecchietto si libererà definitivamente dall’artrite alla mano, e forse avrà una presa più salda sul bastone da passeggio. Il parlamento passa finalmente alla modalità “prime”.
Voterò NO al referendum. E vorrei ricordare a tutti quei dirigenti politici che spingono a votare SI per ragioni di “contesto” (ad esempio non destabilizzare il Governo o apparire non antitetici a questo spirito del tempo per evitare di perdere voti) che il loro è un atteggiamento da apprendisti stregoni. Il consumo moderno richiede l’insoddisfazione perpetua, altrimenti come faremmo a sostituire le cose che abbiamo e che funzionano ancora? Quindi, questa riforma non è che il trastullo dell’oggi. Domani se ne proporrà un altro, sempre da risolvere con un click. E ancora una volta molti politici responsabili accetteranno la forzatura, convinti che questa sia una piccola ferita riassorbibile in quadro generale di stabilità. Quelli ora al governo, per esempio, pensano che con i futuri soldi europei risolveranno tutto, anche l’impazienza da consumatori dei cittadini. Ma avete mai visto qualcuno che si contenta di quello che possiede solo perché ha un ricco conto in banca? Se nell’immaginario i bravi politici fanno meno della metà del loro dovere, sarà così anche per la spesa dei fondi europei. Non c’è limite all’insoddisfazione una volta che se ne accolgano le ragioni con indulgenza e superficialità.
E allora voterò NO; lo farò in maniera serena, perché “Neanche un minuto” è un’espressione bellissima solo quando è associata ai nostri migliori sentimenti. Neanche un minuto di non amore.
Nessun commento
Devi fare per commentare, è semplice e veloce.