L’enormità ridicola delle settimane passate si scioglie nell’autunno delle cose serie. Il “gossip” estivo, che ha portato alle doverose dimissioni del ministro della Cultura, lascia il posto agli sguardi attenti di commissari e burocrati europei sui nostri conti pubblici, in vista di una manovra che si annuncia all’insegna della prudenza, del risparmio, dei tagli, accompagnati dalla proposta di un “doppio” Piano Marshall per salvare l’Europa, firmata nientemeno che da Mario Draghi. Con un cambiamento di rotta e di tono rapidissimo, il caso Sangiuliano, che per settimane ha campeggiato sulle prime pagine di giornali e tg, e che perfino una professionista dello slalom come Giorgia Meloni non ha potuto evitare, sembra archiviato. “Non sono consentiti errori” quando si fa la storia, aveva detto lei: ma anche quando si fa una manovra finanziaria e si ha il debito più alto d’Europa.
Tuttavia, al di là delle storie di cuore e di quelle di poltrone delle quali ci siamo occupati e, forse, continueremo a occuparci seguendo il filo di nuove rivelazioni, qualche parola ancora sulla vicenda va spesa. Non sulla vicenda Boccia-Sangiuliano, ormai sepolta con le dimissioni da ministro, ma sui percorsi “alla Sangiuliano”, che solo in una società declinante possono sembrare accettabili e compatibili con i valori democratici che tanto ci vantiamo di difendere in giro per il mondo. La carriera dell’ex ministro è stata ampiamente riassunta nei giorni delle sue dimissioni. A chi si fosse perso le puntate precedenti basterà un rapido consulto coi motori di ricerca per riannodare i fili di un percorso che, fin dall’inizio, è inestricabilmente legato all’appartenenza di un campo politico – quello della destra post-fascista -, che si è via via declinato costruendo rapporti preferenziali con diversi referenti politici del centrodestra. Tutto bene? Tutto regolare? Un militante politico che fin dalla gioventù è stato legittimamente uomo di parte può fare il giornalista del servizio pubblico, dirigere telegiornali avendo referenti politici sui quali dovrebbe vigilare, e che invece lo nominano in ragione di vicinanza? Si dirà – con buona ragione – che non è l’unico caso, anzi, e che la questione non riguarda solo la destra. È vero. Altrettanto vero però è che un caso così sfacciato, e reso del tutto esplicito dal finale trash della sua parabola politica, non lo ricordavamo nemmeno nel nostro paese, che pure di conflitti di interessi ne ha conosciuti, e ne ha perfino inventati di nuovi. Un breve ripasso con qualche fotogramma in evidenza può forse aiutare a comprendere la questione.
Nel 2001 Sangiuliano è candidato al parlamento con il centrodestra senza essere eletto, otto anni dopo diventa vicedirettore del più berlusconiano dei Tg, quello diretto da Augusto Minzolini, ed è poi in quota “Lega di Salvini” che diventa direttore del Tg2, carica che ricopre fino a diventare ministro del governo Meloni. In seguito a dimissioni invero non particolarmente onorevoli, naturalmente vorrebbe tornare al suo posto, in Rai. In quell’azienda dove, da ministro e non da giornalista, ha l’altra sera dato una notizia. L’intervista al Tg1 nella quale rivela di avere “un rapporto di tipo affettivo” con Maria Rosaria Boccia la rilascia al direttore dello stesso Tg, Gianmarco Chiocci. Un cronista di grandi capacità, anche lui da sempre vicino alla destra, ma che non ha mai smesso di fare questo lavoro per fare politica. Fu lui, realizzando un vero scoop, a scoprire la vicenda della casa di Montecarlo che transitò dalle casse della destra post-fascista alle disponibilità di alcuni famigliari della moglie di Fini. Nella biografia di Sangiuliano pubblicata da Wikipedia si legge che, durante la sua permanenza al TG1 di Minzolini, “è stato regista dei servizi sulla casa di Montecarlo con cui venne messo a lungo in discussione Gianfranco Fini, allora in rotta con la dirigenza del PdL”. Lo scoop di Chiocci resta per quel che era, un vero scoop, e nulla toglie al valore di una notizia il fatto che a pubblicarlo sia stato il Giornale di proprietà di Berlusconi, che era ormai arrivato a una guerra politica pubblica con l’allora presidente della Camera Fini. In quel frangente, dopo lo scoop di Chiocci e i servizi di Sangiuliano, a perdere tutte le sue battaglie fu l’uomo che aveva dato un taglio alle radici fasciste della destra nazionale, scontentando molti che ancora oggi popolano il parlamento sotto l’egida di Fratelli d’Italia, e il politico che era diventato il principale oppositore di Berlusconi, pur essendone il primo alleato. Le perse per i suoi errori, ma fa impressione vedere la traiettoria di carriera di chi quegli errori raccontò per il servizio pubblico nazionale, in epoca berlusconiana, per poi diventare salviniano, per poi tornare all’ovile della destra con Giorgia Meloni. Tutto alla luce del sole, tutto rivendicato pubblicamente.
Insomma, e infine, oggi parliamo ancora delle sue dimissioni. Sarebbe bello, domani, parlare del rapporto tra carriera politica e giornalistica, soprattutto nel servizio pubblico, e che il caso Sangiuliano servisse a scrivere regole su come si esce, si rientra, si riesce e si ritorna in Rai, mettendo e togliendo la casacca del militante.
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